E’ possibile individuare alcune caratteristiche dei disturbi dell’umore che permettono d’identificarne vari sottotipi.
Periodicità
La ricorrenza, cioè la tendenza a presentarsi periodicamente, è da sempre considerata caratteristica peculiare dei disturbi dell’umore. Circa il 70% dei pazienti con tali disturbi, quando giunge all’osservazione dello specialista, ha già sofferto di almeno due episodi maggiori, mentre una percentuale ancora più alta ha presentato episodi minori di breve durata risolti spontaneamente.
Nel valutare la periodicità occorre tener conto di diversi fattori, tra cui la durata del singolo episodio, il tempo che intercorre tra le ricadute, le modalità di successione delle diverse fasi della malattia, la comparsa di ciclicità rapida o continua, la tendenza alla cronicità.
La durata di ciascun episodio è variabile da caso a caso, ma tende ad essere relativamente costante nello stesso paziente. Essa non è chiaramente correlata con la gravità degli episodi stessi: in alcuni pazienti sono brevi ed attenuati, come ad esempio avviene nel disturbo ciclotimico, in altri egualmente brevi, ma gravi, in altri ancora intensi e di lunga durata, con tendenza a diventare cronici. Questi ultimi sono riportati soprattutto nella letteratura classica e sono precedenti l’introduzione dei trattamenti con farmaci.
Il tempo che intercorre tra un episodio e l’altro, detto “intervallo libero”, varia considerevolmente, oscillando da qualche ora fino ad alcuni decenni. È stato rilevato che la durata di tale intervallo in genere tende ad una spontanea e graduale riduzione nelle fasi iniziali della malattia, per poi stabilizzarsi dopo un certo numero di ricadute.
Ciclicità e ricorrenza rappresentano caratteristiche indipendenti dalla gravità dei sintomi del singolo episodio, mentre esiste una relazione tra numero degli episodi e prognosi. In alcuni pazienti con disturbo bipolare I o II la frequenza di ricadute è particolarmente elevata fino a raggiungere o superare le quattro per anno. Tale decorso, detto a cicli rapidi, ha in genere un’evoluzione cronica e risponde poco alla profilassi con gli stabilizzatori.
Prognosi
L’evoluzione dei disturbi dell’umore appare indipendente dalla gravità delle fasi di malattia. Pazienti con gravi episodi di depressione e di mania possono rispondere in maniera rapida e completa agli interventi terapeutici, con ritorno ad un buon adattamento nelle fasi d’intervallo libero, quando cioè non sono presenti sintomi.
Al contrario alcune forme attenuate possono essere resistenti ai trattamenti ed avere un’evoluzione cronica. In quest’ultimo caso non è raro il riscontro di un marcato disadattamento sociale, con problematiche interpersonali e relazionali.
La prognosi dipende dal tipo di decorso ed è infausta soprattutto in presenza di ciclicità rapida e continua. L’esito sfavorevole può essere conseguente a errori diagnostici o al persistere di sintomatologia residua dopo la risoluzione dell’episodio maggiore oppure a scarsa disponibilità del paziente a seguire con regolarità il trattamento proposto. La presenza di problemi in ambito psicologico e sociale può facilitare la comparsa di nuovi episodi, soprattutto di tipo depressivo, avviando in tal modo un circolo vizioso negativo.
Problemi terapeutici
Fino a circa sessant’anni addietro i trattamenti con farmaci dei disturbi dell’umore costituivano meri palliativi. I primi antidepressivi, quelli di seconda e terza generazione e la profilassi delle ricadute hanno modificato radicalmente le potenzialità terapeutiche.
La realtà clinica dei disturbi del tono dell’umore è comunque molto complessa ed è necessario adattare la strategia terapeutica ad ogni singolo caso, in riferimento al tipo di antidepressivo da utilizzare e alle modalità e ai tempi di somministrazione, così come avviene nel trattamento di pazienti con altre patologie quali ipertensione, diabete, cardiopatie.
E’ necessario fare una corretta diagnosi ed un’accurata indagine sull’eventuale presenza di episodi precedenti. In presenza di un episodio depressivo, il riscontro, nella storia del paziente, di fasi ipomaniacali ha notevole valore diagnostico e determina differenti priorità e strategie terapeutiche. Ad esempio, nelle depressioni unipolari è opportuno prescrivere antidepressivi a dosi adeguate e per un periodo di tempo sufficientemente lungo anche dopo la risoluzione del quadro clinico, per evitare una precoce riattivazione della sintomatologia.
Invece nelle forme bipolari l’uso di antidepressivi deve esser molto più cauto perchè può indurre stati misti, facilitare o accelerare il passaggio verso fasi maniacali e aggravare la successiva evoluzione del disturbo.
La distinzione delle forme unipolari da quelle bipolari è importante soprattutto quando occorre programmare una terapia a lungo termine.
Nelle unipolari, infatti, la prevenzione delle recidive abitualmente si attua prolungando la somministrazione degli antidepressivi.