La conoscenza con Davide è avvenuta in modo assolutamente eccezionale. Racconto i fatti. Intorno alla fine dell’Aprile 2002 ricevo una telefonata da parte della redazione del Maurizio Costanzo Show e sono invitato a partecipare, in qualità di psichiatra, ad una puntata della trasmissione.
Mi viene detto che si tratta della storia di un uomo di 57 anni, abitante in Torino, di cui si erano già occupati circa due anni prima. All’epoca aveva partecipato alla trasmissione la sorella, ripresa di spalle, e lui era stato intervistato telefonicamente.
Si erano interessati del caso perché Davide aveva inviato alla redazione una lettera in cui chiedeva un intervento finalizzato a sostenere la sua richiesta di eutanasia, poiché la legge italiana attuale non consente tale tipo d’intervento.
Nel marzo 2000 vi era dunque stata la prima trasmissione, alla quale aveva partecipato un altro psichiatra non residente a Torino e che quindi non aveva seguito il caso nel periodo successivo al programma.
Un quotidiano torinese, stimolato dalla vasta eco dell’intervista televisiva, si era interessato della cosa, aveva intervistato Davide e pubblicato, nell’Aprile del 2000, un articolo a tutta pagina sulla sua richiesta di eutanasia.
Lo stesso giornalista che all’epoca si era occupato del caso aveva preso contatto anche con me e mi aveva fatto un’intervista.
Naturalmente, poiché non lo conoscevo, non avevo fatto alcun cenno a Davide, ma avevo parlato in generale delle possibilità terapeutiche dei disturbi depressivi.
Di fatto, nell’impaginazione del giornale, la mia intervista è stata collocata nella stessa pagina di quella fatta a Davide.
La redazione del Costanzo Show mi ha invitato a partecipare alla trasmissione dell’Aprile 2002 risalendo al mio nominativo dalla suddetta intervista e soprattutto, credo, poiché psichiatra residente in Torino e quindi con la possibilità di prendermi, in seguito, carico del caso.
Sono stato informato, nei giorni immediatamente precedenti la trasmissione, che Davide, nell’Ottobre
2001, aveva effettuato un tentativo di suicidio, cui era seguito un periodo di ricovero complessivo di circa quattro mesi.
Lui stesso, dopo la dimissione e il ritorno a casa, aveva di nuovo scritto alla redazione del Costanzo per rinnovare la richiesta di eutanasia, persistendo quindi nel proposito di cercare qualcuno che lo aiutasse a porre fine alla propria esistenza.
La puntata è stata certamente ad alto contenuto emotivo: la tensione era evidente e palpabile in tutti i componenti della redazione, nel conduttore e nel sottoscritto.
Davide, in collegamento video da Torino, ha ribadito di avere maturato l’idea dell’eutanasia da molti anni. Ha affermato di ricordare il periodo di semi-incoscienza del risveglio dallo stato comatoso come uno dei più belli della sua vita, poiché non avvertiva il dolore morale che lo ha accompagnato negli ultimi 40 anni. Ha espresso rabbia nei confronti dei medici che lo hanno salvato e anche rancore nei confronti della sorella. E’ stata lei che, allarmata per il fatto di non averlo sentito telefonicamente da qualche giorno, si è recata da lui e lo ha trovato in stato d’incoscienza a seguito dell’assunzione di una forte dose di psicofarmaci. I medici hanno affermato che probabilmente Davide è rimasto così per le 48-72 ore precedenti l’arrivo dei soccorsi.
Alla sorella rimprovera il fatto di aver richiesto l’intervento del 118 e quindi di essere ancora in vita.
Da parte mia, durante la puntata ho detto poche cose. Ho evitato di fare discorsi di tipo psicologico o basati sul buon senso o sulla morale.
Ho preso atto dello stato di intensa sofferenza, nei confronti della quale ho tenuto un atteggiamento di rispetto e di umiltà, abbandonando la pretesa di essere in possesso di una facile soluzione.
Ho anche evidenziato la presenza, in Davide, di forze tendenti verso la vita, che gli impedivano di mettere in atto i propositi di suicidio (tranne in un’occasione), tanto da determinare la ricerca di qualcuno che lo aiutasse.
Ad un certo punto il conduttore ha chiesto a Davide se era d’accordo ad avere un incontro con me, al mio ritorno a Torino.
Lui ha risposto di essere disponibile ed è così che sono iniziati i nostri incontri.
Racconterò il contenuto dei primi colloqui, risalenti al mese di maggio 2002, allo scopo di mostrare come la scelta della strategia terapeutica da adottare dipenda in massima parte dalle condizioni non solo psichiche, ma anche ambientali e sociali in cui il paziente si trova.
Primo incontro
Avviene a casa sua, alla presenza della sorella. La sera prima dell’incontro aveva seguito su una TV
privata del Piemonte, in diretta, la trasmissione sul tema dei disturbi depressivi, di cui ero ospite.
Gli porto i tre opuscoli informativi su depressione, ansia e dap pubblicati dalla nostra Associazione. Mi dice di non riuscire più a leggere da molto tempo.
Mi racconta la sua storia, che riassumo per sommi capi.
Nasce 57 anni addietro da una famiglia di basso livello sociale ed economico.
Abita in un alloggio molto modesto, con servizi comuni collocati all’esterno, sul ballatoio. Solo quando ha cinque anni trovano una sistemazione in un’abitazione migliore. Dopo quattro anni, nasce la sorella.
E’ molto critico nei confronti dei genitori: li accusa di aver messo al mondo dei figli senza tenere conto dell’assoluta mancanza di mezzi per il loro sostentamento.
I rapporti tra padre e madre vengono descritti come freddi e distaccati. Ricorda frequenti litigi e aggressività verbali. Molto carenti anche gli scambi affettivi con i figli: non ha ricordi di abbracci né di carezze.
Si descrive come un bambino molto timido, tendenzialmente solitario e comunque con difficoltà ad instaurare rapporti con i coetanei. Il rendimento scolastico è buono alle scuole elementari e medie. Nel periodo dell’adolescenza cominciano ad evidenziarsi difficoltà nel rendimento scolastico che comportano prima alcune bocciature e poi l’interruzione degli studi. Non consegue quindi alcun diploma di scuola media superiore.
A quest’epoca risale l’inizio del suo disagio psichico che si manifesta, oltre che nell’enorme difficoltà di attenzione, concentrazione e memoria, anche sotto forma di uno stato di spossatezza e di mancanza di energia che gli rendono difficoltosa qualunque attività. La cosa viene interpretata, soprattutto dal padre, come mancanza di volontà e “pelandronite”. Non essendone riconosciuta l’origine psichica, non viene attivato alcun tipo di aiuto medico o psicologico.
Durante il periodo della giovinezza cerca di iniziare, senza successo, un qualche tipo di attività lavorativa: lo stato astenico glielo impedisce e, a causa di ciò, i litigi con il padre diventano sempre più frequenti.
L’unica attività che riesce a svolgere regolarmente e con interesse è quella della lettura, principalmente nelle ore notturne, poiché ha difficoltà ad avere un ritmo di sonno regolare.
Scopre un certo interesse per la recitazione, frequenta anche una scuola di dizione, dove conosce una coetanea. Si sposano e si trasferiscono a Roma, alla ricerca di un’attività lavorativa in ambito artistico. La ricerca si mostra infruttuosa, il rapporto con la moglie si deteriora, lo stato di spossatezza e la scarsa energia fisica e psichica gli impediscono di trovare soluzioni alternative.
Il matrimonio fallisce e, dopo sette anni di permanenza nella capitale, torna a Torino. Per alcuni mesi è ospite della sorella che intanto si è sposata. Poi affitta una modesta camera in una locanda e vi trascorre dieci anni.
Si trasferisce poi in una mansarda, dove vive da otto anni e il cui contratto d’affitto è intestato alla sorella, dal momento che lui non ha alcun reddito.
Intorno all’età di 40 anni inizia ad essere seguito dal Servizio Psichiatrico pubblico che gli elargisce un contributo “minimo vitale” e lo segue dal punto di vista specialistico.
Ricorda gli ultimi quindici anni come molto tristi, carichi di sofferenza e di perdita di senso dell’esistenza.
Particolarmente pesanti sono stati i 10 trascorsi nella locanda, in quasi completa solitudine.
Il tutto è reso ancora più faticoso dalla presenza di alcuni problemi fisici: nel 1990, a causa di una grave piorrea, perde tutti i denti e nel 1996 subisce un intervento di safenectomia bilaterale (recidiva di un precedente intervento risalente al 1978).
Nel 1998 giunge a maturazione un’idea che da molto tempo aveva in mente: l’unica soluzione possibile è quella di porre fine alla propria esistenza.
Non trovando dentro di sé la forza di mettere in atto i propositi di suicidio, inizia a parlarne in modo sempre più insistente alla psichiatra che lo seguiva, richiedendo l’eutanasia.
Ben presto i rapporti con il medico si deteriorano ed è a questo punto che scrive alla redazione del
Maurizio Costanzo Show, chiedendo un loro intervento.
Ascolto il suo racconto chiedendo qualche precisazione, ma non facendo valutazioni di alcun tipo.
La dinamica del tentativo di suicidio messo in atto nell’Ottobre 2001 conferma che effettivamente era un tentativo finalizzato a porre fine alla propria esistenza. Tra l’altro, a distanza di circa sette mesi, deve ancora curare un’ulcera da decubito sacrale, causata dal lungo periodo di immobilità forzata successiva al tentativo messo in atto.
Mi chiede di fargli una prescrizione farmacologica poiché, dall’epoca delle dimissioni dall’ospedale (fine gennaio 2002), è in regime di totale “autogestione”, lamenta frequenti crisi di pianto, senso marcato di angoscia durante tutta la giornata e disturbi del sonno. Gli prescrivo un antidepressivo e un ipnoinducente.
Faccio un rapido cenno al fatto che prima o poi potrebbe venire lui al Centro a trovare me. Mi dice di avere problemi a camminare a causa di calli in entrambi i piedi.
Colgo l’occasione al volo e gli fornisco il numero di telefono della “mia” callista, il cui salone di estetica si trova a metà strada tra la sua abitazione e il Centro.
Faccio un aggiustamento farmacologico alla sorella, unico punto di riferimento di Davide, appesantita dalla situazione del fratello, dalla recente separazione e dalla perdita del lavoro.
Ci diamo appuntamento di lì a pochi giorni.
Secondo incontro
Anche il secondo incontro si svolge a casa sua ed è di nuovo presente la sorella. Ha seguito le indicazioni della prescrizione farmacologica.
Ha telefonato all’estetista e ha fissato un appuntamento.
Gli ho portato alcune foto degli ambienti interni del Centro, scaricate dal nostro sito Internet.
Dietro mia richiesta, mi descrive il suo “stile di vita” degli ultimi 4-5 anni. Racconta di avere trascorso la maggior parte della giornata, anche 17-18 ore al giorno, disteso sul letto. Per periodi di molti mesi non ha sollevato le tapparelle delle finestre né ha acceso la luce nelle ore serali. Non è uscito da casa e non ha avuto alcun tipo di rapporto sociale. La sorella ha provveduto a fare la spesa e a cucinare qualcosa, che poi lui il più delle volte ha mangiato senza riscaldare. Non ha più letto libri né giornali. Qualche volta ha ascoltato le notizie attraverso i telegiornali.
E’ stato ossessionato dall’idea di trovare il coraggio di suicidarsi: esprime la rabbia motivata dal fatto che, per una volta che vi era riuscito, lo hanno salvato.
Il discorso cade sull’aspetto pratico e concreto del contributo “minimo vitale” di 219 € al mese da liu percepito. Dal punto di vista economico la situazione è disastrosa: il solo affitto e le spese di riscaldamento e condominiali ammontano a circa 500 € mensili e quidni lui dipende in larga misura dalla sorella, la quale peraltro, proprio poche settimane addietro, ha perso il lavoro.
Mi mostra un documento, risalente a circa 11 anni addietro, in cui gli era riconosciuta un’invalidità del
75%. La sorella si era informata sulla possibilità di avere per Davide un contributo di accompagnamento, poiché è totalmente dipendente da altre persone per i suoi bisogni elementari, ma era stata sconsigliata, non ho capito bene per quali motivi.
Dal momento che a mio avviso la percentuale di invalidità attuale di Davide è superiore al 75%, riconosciuta del resto quando lui aveva 46 anni, e poiché mi sembra che siano presenti gli estremi per usufruire dell’assegno di accompagnamento, coinvolgo un’esperta di questo tipo di pratiche, informata sulla normativa attualmente vigente. Faccio quindi in modo che vi sia un incontro tra lei e la sorella, anche per occuparsi della sua situazione lavorativa.
Faccio un altro cenno al fatto di venire lui al Centro. Ipotizziamo orientativamente che ciò potrà avvenire intorno la metà del mese di maggio poiché, la settimana successiva, deve già fare due uscite, una per andare dalla callista e l’altra per fare le foto e il rinnovo della Carta di Identità, scaduta da cinque anni, cosa assolutamente necessaria per avere la documentazione completa e potere mettere in moto la sua pratica pensionistica.
Terzo incontro
Anche quest’incontro avviene presso la sua abitazione, senza la presenza della sorella.
Ha continuato ad assumere la terapia prescritta e sta un po’ meglio: la sua mimica facciale e il suo sguardo attestano il miglioramento della qualità del sonno e la riduzione del livello d’ansia.
I miglioramenti erano già stati segnalati dalla sorella, durante un contatto telefonico immediatamente precedente l’incontro con Davide.
Il giorno prima, accompagnato dalla sorella, ha rispettato l’impegno preso con la callista, che gli ha proposto di tornare per il controllo il mese successivo. Ha chiesto di farlo prima e ha preso un nuovo appuntamento a distanza di quindici giorni.
Non fa alcun commento sulla cosa, e anch’io non dico nulla sul significato simbolico del “camminare meglio”, in termini di acquisizione di autonomia.
Sono molto cauto nel sottolineare i segnali di cambiamenti positivi dei suoi sintomi o della situazione in generale. Nel corso della sua vita ha subito molte delusioni e ha sviluppato un atteggiamento di tipo pessimistico, tanto da avere enormi difficoltà a riconoscere miglioramenti sia dentro sia fuori se stesso. In termini psicologici, si può affermare che Davide è identificato con il suo stato di sofferenza.
Ha confermato l’intenzione di fare le foto e di rinnovare la Carta di Identità. Anche in questo caso è ovvio il significato simbolico della cosa, in termini di riacquisizione di identità personale. Per lo stesso motivo di cui sopra, mi astengo dal sottolinearlo.
Conferma l’intenzione di venire lui al Centro. Quarto incontro
Avviene a casa sua ed è presente anche la sorella che, il giorno prima, ha avuto l’incontro del quale avevo creato le premesse. Ha avuto rassicurazioni in merito alla sua attività lavorativa e la conferma del fatto che vi sono i presupposti per il miglioramento dell’attuale posizione pensionistica del fratello.
Davide non fa alcun commento positivo.
Nella mattinata, sempre accompagnato dalla sorella, si era recato in Comune, aveva fatto le foto e rinnovato la Carta di Identità.
Ho di nuovo preferito non evidenziare i significati simbolici della cosa: mi sembra che sia ancora troppo forte l’identificazione di Davide con il proprio stato di sofferenza.
E’ la prima volta che lo trovo vestito normalmente (lo avevo sempre trovato in pigiama) e con i capelli tagliati per via delle foto. Ha un aspetto decisamente migliore e non solo dal punto di vista estetico: il suo sguardo è più sereno e fiducioso.
Naturalmente… dice di essersi fatto tagliare i capelli dalla sorella solo perché… lei ha insistito tanto.
Munito di una lente di ingrandimento (ha problemi di miopia), ha cominciato a leggere qualcosa del materiale informativo che gli avevo portato durante il nostro primo incontro. Non fa alcun commento su ciò che ha letto.
Quinto incontro
E’ il primo incontro al Centro.
Di nuovo noto che gli ha giovato esteticamente il taglio di capelli.
La sorella dice che è un giorno da segnare in rosso sul calendario poiché, quando lei è passata da casa sua per prenderlo, Davide era già pronto: è stato lui ad aspettarla e ciò è successo pochissime volte in passato. Sottolinea inoltre che, in queste ultime due settimane, lo ha visto piangere solo una volta, mentre prima la cosa era giornaliera. Dice inoltre che in questi ultimi tempi ha totalizzato un numero di uscite superiore a quello degli ultimi anni e che lo ha anche visto sorridere qualche volta. Secondo lei, vi è stato un miglioramento complessivo di un 10% rispetto alla situazione di partenza.
Davide si sente subito in dovere di minimizzare… di dire che si può anche piangere da soli… e che, in realtà, la prima cosa che ha in mente quando si sveglia è il pensiero della morte.
Senza rendersi conto della contraddizione, dice che la settimana prossima ha il secondo appuntamento con la callista e che andrà a votare per le elezioni amministrative.
Concordiamo il nostro prossimo incontro al Centro per la settimana successiva e, orientativamente, fissiamo una frequenza almeno settimanale, valutando successivamente di usufruire di qualche servizio che il Centro offre.
Approfittando del fatto che, quando abbiamo terminato il nostro colloquio, erano le 20 e gli studi del Centro erano liberi, ho fatto visitare la struttura, in modo da cominciare a familiarizzare con essa. Ha riconosciuto alcuni ambienti che gli avevo già mostrato attraverso le foto scaricate da internet.
Credo che il tutto gli sia piaciuto perché… clamorosamente… ha abbozzato un mezzo sorriso…
comunque prontamente represso!
Da parte mia, sono soddisfatto di come stanno andando le cose.
Davide ha sviluppato, in questi decenni di sofferenza, un atteggiamento negativo di tipo pessimistico nei confronti di se stesso e del mondo e non riesce, verbalmente, a sottolineare ciò che di positivo c’è dentro e fuori di lui. Mentre fa discorsi pessimistici e negativi, tuttavia compie azioni che esprimono un significato opposto e che tendono verso la vita e il futuro.
Sesto incontro
Come da accordi presi, Davide, accompagnato dalla sorella, viene nuovamente al Centro, giungendo con circa un quarto d’ora di anticipo.
La sorella fa un aggiornamento della situazione: gli esami strumentali da lei effettuati hanno confermato la presenza di un ipertiroidismo e l’indomani ha l’appuntamento con l’endocrinologo per la visita. Ha inoltre ritirato presso l’INPS i moduli necessari per avviare le pratiche di Davide: li ha compilati e li spedirà via fax alla persona che se ne occupa.
Incautamente, riferendosi alle condizioni di Davide, dice di vederlo migliorato.
A questo punto Davide, che era rimasto in silenzio durante la prima parte del discorso, fa sentire le sue proteste per quest’ultima affermazione: dice che in realtà continua a pensare alla morte e che gli ansiolitici non funzionano (non nomina gli antidepressivi anche perché, di fatto, il suo tono dell’umore è migliorato, e quindi … meglio non citarli).
Con una battuta che in questo momento non ricordo introduco il solito elemento di salvataggio, l’ironia, che stempera il tutto.
Gli chiedo poi quale risultato si aspetta dagli ansiolitici. Risponde che vorrebbe riuscire a dormire da mezzanotte almeno fino alle 12 dell’indomani e poi ancora qualche ora di pomeriggio.
Di nuovo introduco una battuta, del tipo: “Perché porsi dei limiti alle ore dormite?” e poi gli spiego che quanto lui desidera sarebbe una forzatura alla fisiologia del suo organismo. Il suo desiderio ha il significato difensivo di trascorrere in uno stato di incoscienza, il sonno, oltre la metà delle 24 ore. Più che aumentare gli ansiolitici, bisogna orientarsi a riempire il vuoto della sua giornata ed è questo il nostro obiettivo.
La sorella fa vistosi cenni di assenso. Lui incassa, ma non protesta. Mi dice poi che:
– ha spostato l’appuntamento con l’estetista dal Venerdì al Lunedì successivo poiché la sorella, il venerdì, ha l’appuntamento con l’endocrinologo;
– andrà a votare non Domenica, ma Lunedì;
– fissiamo l’appuntamento per il Venerdì successivo.
Mordendomi la lingua, mi trattengo dal chiedergli come mette insieme il programma della settimana prossima con il pensiero continuo della morte.
In realtà, il tutto è facilmente comprensibile (ma non per lui) sulla base dei meccanismi dell’ambivalenza e dell’identificazione con la sofferenza.
Settimo incontro
L’incontro avviene al Centro.
Martedì, accompagnato dalla sorella, è tornato dalla callista e poi ha scelto di tornare a casa da solo, con grande stupore di lei. Lo ha raggiunto più tardi, dopo avere fatto delle commissioni, e lo ha trovato tranquillo. Dalla callista ha fissato un altro appuntamento per metà giugno.
Nei giorni successivi è uscito, sempre da solo, per un’ora e mezza circa per volta, per fare una passeggiata. La sorella esprime preoccupazione per la cosa: teme che possa commettere qualche gesto autolesivo durante le uscite. La rassicuro, dicendo che non mi sembra che attualmente vi siano pericoli di tal genere.
Davide commenta solo che la sorella è esagerata.
Lei dice che la settimana trascorsa è stata sicuramente la migliore in assoluto da quando ci conosciamo. Io dico che, considerando le condizioni di partenza e che è trascorso appena un mese, mi ritengo soddisfatto dei risultati raggiunti.
Ne approfitto, utilizzando il solito canale dell’ironia, per dire a Davide che devo comunicargli una notizia per lui poco piacevole: cioè che, purtroppo, secondo me, la situazione complessiva, sia clinica sia generale, è un po’ migliorata.
Incassa senza fare commenti: è già tanto che non faccia sentire le sue vibranti proteste.
In settimana sono anche giunte notizie positive: per quanto riguarda la sorella, è possibile una sistemazione lavorativa in un ambito di servizi sociali (la cosa deve ancora essere definita nel dettaglio).
Per quanto riguarda Davide, sono state fornite le indicazioni sui percorsi che è necessario seguire per raggiungere gli obiettivi di tipo pensionistico prefissati.
Ci diamo appuntamento per il venerdì successivo.
Non vado oltre nella descrizione degli incontri con Davide. Quello che mi premeva era di evidenziare il tipo di strategia che, a mio avviso, era necessario mettere in atto in questa situazione specifica e propongo, di seguito, alcune considerazioni.
La dotazione assolutamente eccessiva di sensibilità personale, assieme alle sfavorevoli condizioni socio- culturali, economiche, intrafamiliari ed affettive, hanno determinato il fatto che la tempesta psicologica ed ormonale dell’adolescenza causasse il crollo della struttura della personalità di Davide. La tempesta si è abbattuta su una struttura già di per sé fragile.
Anche la sorella ha vissuto le stesse condizioni sociali, ambientali e affettive, ma la sua dotazione energetica le ha consentito di fare loro fronte. Così non è stato per Davide.
Il suo disagio psichico diventa manifesto proprio nel periodo adolescenziale. Non ne viene però riconosciuta l’origine psichica, ma la valutazione di esso cade nell’area pregiudiziale della “volontà”: il fatto di non riuscire a superare lo stato di malessere viene inteso, da parte di chi lo circondava, come una “mancanza di volontà”.
Dall’epoca adolescenziale inizia quindi una storia di malessere psichico, di sofferenza e di solitudine che si protrae per circa 40 anni e che, dal 1998, porta Davide alla perdita totale della speranza, della possibilità di
progettazione e del senso della vita, tanto da giungere alla conclusione che l’unica strada percorribile per porre fine alla propria sofferenza sia quella del suicidio.
La diagnosi fatta dagli psichiatri con i quali è venuto in contatto è stata di Disturbo Borderline di Personalità, da differenziare rispetto ai disturbi di personalità di tipo psicotico e da quelli di tipo nevrotico. Ritengo però che la diagnosi differenziale rivesta una rilevanza puramente accademica e sia di scarsa utilità.
Di fatto, Davide è da sempre poco attrezzato, a livello di dotazione di energia psichica, per far fronte alle avversità della vita e si è sviluppata in lui la tendenza o ad un eccesso di autosvalutazione o ad attribuire all’esterno la responsabilità del proprio malessere, con atteggiamenti a volte vittimistici (la colpa è del fato), a volte persecutori (il mondo è cattivo… i genitori sono stati cattivi… i medici sono cattivi… ecc…).
Negli ultimi 4-5 anni, il suo stile di vita è stato il seguente: ha tenuto il letto per circa 18 ore in media ogni giorno (è chiaro il significato difensivo) ed è stata la sorella a provvedere ai suoi bisogni vitali; è uscito esclusivamente per andare in ospedale (in occasione del tentativo di suicidio e per le cure dell’ulcera da decubito), non ha avuto alcun tipo di rapporto sociale; non è più riuscito a leggere né libri né giornali, nell’ottobre u.s. ha messo in atto un tentativo di suicidio “vero”, cioè con la reale intenzione di porre fine alla propria esistenza.
Ho effettuato un avvicinamento a Davide di tipo assolutamente pragmatico.
Innanzitutto ho tenuto ben presente le difficoltà dell’approccio, legate sia alle sue dichiarazioni verbali di volere l’eutanasia, sia al suo atteggiamento generale nei confronti dei medici (… sono tutti cattivi), sia e soprattutto perché il nostro incontro è iniziato secondo modalità inusuali: di solito è il paziente a chiedere di essere ricevuto dal medico mentre in questo caso è stato l’opposto. Dovevo quindi giocare al recupero.
Ho cercato di creare, al di là delle parole, una condizione di rapporto personale di tipo fiduciario, tanto necessario quanto difficile da realizzare con una persona portatrice di una forte componente di ambivalenza e di identificazione con la propria sofferenza. E’ stato molto proficuo il ricorso all’ironia, congeniale ad entrambi.
Dal momento che erano presenti importanti elementi depressivi, ho effettuato una correzione terapeutica, introducendo un farmaco antidepressivo di nuova generazione, mancante nella terapia precedentemente assunta.
Mi sono preso carico di problemi concreti sia di modesta entità (pedicure) sia di notevole rilevanza
(situazione pensionistica).
Mi sono preso carico anche della sorella sia dal punto di vista medico sia da quello della sua sistemazione lavorativa, dal momento che lei è l’unico punto di riferimento reale per Davide.
Ho cercato di fare in modo che non solo la mia persona, ma il Centro come struttura (Servizio di Ascolto, altri Servizi del Centro, altri Operatori), divenisse un punto di riferimento da contrapporre alla dimensione della solitudine.
Ho preso quello che lui stesso mi ha raccontato del passato, senza però fare particolari approfondimenti. Ho invece puntato principalmente sul presente, cercando di mettere il maggior numero di puntelli fissi, nella consapevolezza che solo questo potesse portare all’attivazione di speranza e di progettazione per il futuro.
La strategia terapeutica messa in atto, comprensiva di una serie di strumenti (rapporto fiduciario, antidepressivi, Servizi del Centro, ricorso a mie amicizie, ecc…), è stata finalizzata al raggiungimento di obiettivi precisi. Alcuni sono stati raggiunti e per altri vi sono i presupposti per un buon esito futuro.
Mi sembra necessario spendere due parole sui meccanismi dell’ambivalenza e dell’identificazione con la sofferenza.
L’ambivalenza è quella condizione psicologica in cui, all’interno del soggetto, sono contemporaneamente presenti sentimenti opposti nei confronti della stessa situazione, cosa o persona.
Nel caso di Davide, possiamo dire che:
– è portatore, al suo interno, di forze che spingono verso la morte e contemporaneamente di forze che spingono verso la vita;
– parla di eutanasia e allo stesso tempo va dalla callista e rinnova la Carta di Identità;
– mi chiede di prescrivergli dei farmaci per poi lamentarsi di doverli assumere, ecc.
Siccome l’ambivalenza determina nel soggetto comportamenti contraddittori, a volte può venire da chiedersi, ad un’osservazione superficiale, … se “lo è o lo fa”.
In realtà la persona è inconsapevole del meccanismo: non è il soggetto a scegliere i suoi comportamenti, ma è il meccanismo psichico inconsapevole che li sovradetermina.
Per quanto riguarda il meccanismo di identificazione con la sofferenza, non è frequente, ma nemmeno raro, che alcuni soggetti, dopo anni di sofferenza, si riconoscano dignità di esistenza solo nel loro essere sofferenti, per cui riesce loro molto difficile riconoscere un qualche tipo di miglioramento del loro stato psichico o delle condizioni ambientali esterne. Insomma, una specie di “eroe negativo”, tipo l’eroe decadentista descritto, tra gli altri, da Oscar Wilde, che tende ad aderire totalmente alle proprie condizioni negative interne ed esterne. L’opposto, insomma, dell’“eroe solare”.
Non bisogna però fermarsi all’aspetto verbale. Occorre tenere presente che anche in questo caso, come in quello dell’ambivalenza, si tratta di un meccanismo inconsapevole e non va valutato usando i parametri della logica razionale.
Al di là delle parole e ad una più attenta osservazione, è possibile cogliere tutta una serie di messaggi paraverbali (mimica, sguardo, atteggiamento generale, comportamenti, ecc.).
Nel caso di Davide, l’attivazione di un rapporto fiduciario nei miei confronti può essere dedotto dai seguenti fatti:
– ha assunto e continua ad assumere la terapia che gli ho prescritto;
– è andato dall’estetista da me indicata;
– ha iniziato a leggere gli opuscoli che gli ho portato;
– ha cominciato a venire lui da me e a frequentare il Centro.
Di fatto Davide ha sofferto nella sua vita di molte delusioni e non ha potuto fare loro fronte a causa della struttura della sua personalità e della scarsa quantità di energia psichica disponibile.
E’ quindi comprensibile il suo atteggiamento difensivo.
Credo che saranno necessari alcuni mesi prima che possa dare piena fiducia a chiunque.
Ciò che finora è stato fatto è consistito nell’attivazione di quelle forze che spingono verso la vita, comunque già presenti all’interno di Davide.
Leggendo il senso simbolico di alcuni degli ultimi suoi comportamenti, possiamo dire che andare dall’estetista per i calli significa volere migliorare la propria capacità deambulatoria e ciò ha un senso di movimento che è l’opposto rispetto all’immobilità della morte; farsi fare il taglio di capelli indica voler migliorare il proprio aspetto estetico, e ciò ha un significato di relazione con gli altri, che è l’opposto rispetto all’isolamento; rinnovare la Carta di Identità significa affermare la propria esistenza di fronte a se stessi e al mondo, e questo indica un movimento verso la vita; essere venuto al Centro e avere programmato per il futuro una frequenza settimanale costante va verso la direzione opposta rispetto a quella della solitudine.
In definitiva è stato messo qualche “paletto”, è stato attivato qualche elemento di fiducia e di speranza, è stato messo in moto un minimo di progettazione futura.
Quanto più il tutto si consoliderà e prenderà forma, tanto maggiore sarà la distanza tra Davide e quelle forze dentro di lui che hanno valenza di tipo autodistruttivo. Non si può certamente dire che il caso è risolto. Si sono però aperti spiragli su cui è possibile lavorare.