Era una sera di Maggio del 1998. Seduto dietro le quinte di un importante Teatro lirico italiano, stavo indossando il mio abito scuro per il concerto. Faccio il cantante, la mia è la voce di un basso. All’epoca avevo trent’anni e stavo per affrontare uno dei tanti concerti per coro ed orchestra.
Era un concerto come tanti altri, non dovevo cantare da solo, non avevo una parte di rilievo, non avevo ansia perché tutto era stato provato più volte.
Stavo scaldando la voce, bevendo un po’ d’acqua e chiacchierando con i miei colleghi del coro, finché vennero a chiamarci per iniziare il concerto.
Mi è sempre piaciuto salire sul palco, sentire gli applausi, osservare il pubblico, godere quel momento in cui le luci si abbassano e il direttore d’orchestra sale sulla pedana. Com’è intenso e sacro il silenzio che ti avvolge poco prima dell’inizio della musica.
Non avrei mai pensato che quella serata potesse cambiare la mia vita…
Durante l’esecuzione del primo brano non ho avuto alcun problema. Durò circa quindici minuti, gli applausi e l’inizio quasi immediato del secondo. Passarono pochi istanti quando giunse il mio primo, terribile ed indimenticabile attacco di panico: il mio cuore si mise ad accelerare improvvisamente, uno strano ed intenso formicolio mi prese alle gambe, alle braccia ed in tutto il corpo, la testa era confusa. La paura di svenire da un momento all’altro era insopportabile, come le vertigini che mi facevano pensare di cadere dalla pedana più alta su cui stavo.
Cantavo, sì continuavo a cantare, ma in alcuni momenti era come se tutto fosse silenzio: non sentivo neanche più la mia voce. Mi sentivo addosso gli occhi di tutti, ero in preda alla paura ed al terrore ed avevo una gran voglia di scappare. Ancora oggi mi chiedo come ho fatto a portare a termine il concerto senza che nessuno si accorgesse del mio dramma.
Alla fine ero spossato, a pezzi; non riuscivo a capire che cosa e perché mi fosse accaduto tutto ciò. In realtà la parola “panico” mi venne subito, ma non pensavo fosse un vero e proprio disturbo. Ne parlai con un amico che mi disse che potevo aver avuto un calo di pressione: “Torna a casa e riposati, vedrai che domani non te ne ricorderai neanche più …”.
Il concerto successivo andò bene, senza attacco di panico, ma per tutto il giorno ebbi una forte paura che tutto potesse ripetersi. Tale sensazione, con alti e bassi, mi accompagnò per tutti i nove mesi di lavoro successivi.
L’ansia giornaliera mi stremava fisicamente e mentalmente. Non riuscivo a parlarne con nessuno: amici, colleghi, famiglia e fidanzata. Con lei mi vergognavo in modo particolare in quanto, come me, faceva parte del mondo dello spettacolo: era un’attrice. Anche lei conosceva la paura del palcoscenico, ma quella “sana”, che ti dà la carica e permette di concentrarti.
Dopo nove mesi, interruppi la mia attività.
Ricevevo continuamente chiamate per concerti in Italia ed all’estero e puntualmente rifiutavo, trovando mille scuse. Riuscii, nonostante tutto, a sostenere due concorsi e a vincerli, ma rifiutai il posto perché l’ansia non tendeva a diminuire e le crisi cominciarono a presentarsi in situazioni totalmente inaspettate: in auto, sui mezzi pubblici, al supermercato, al cinema e addirittura da spettatore ad un concerto.
Una sera mi capitò a letto, prima di addormentarmi: maledizione! Era davvero troppo. Ne parlai con i miei genitori che non capivano cosa avessi e perché da molto tempo non lavoravo.
Contattammo, attraverso un parente, uno psichiatra. Nessun indugio, nessun dubbio, stavo troppo male: presi appuntamento e feci il mio primo colloquio. Rimasi stupito quando il medico diede un nome alla mia “malattia”: disturbo da attacchi di panico. Dunque quello di cui soffrivo era un male conosciuto e non ero l’unico al mondo!
La cura che lo psichiatra mi prescrisse inizialmente fu una terapia farmacologica per alleviare la sintomatologia, ma mi spiegò che sarebbe stata di fondamentale importanza una terapia psicologica. Figurarsi … io che fino a pochi anni fa non vedevo di buon occhio chi andava dallo psicologo a raccontare le proprie cose …
Nell’arco di circa un mese i sintomi migliorarono nettamente ed iniziai le sedute di psicoterapia: ripercorsi la mia infanzia, i miei studi in Conservatorio, gli esami, il lavoro, il rapporto con i colleghi e la famiglia. Rimisi in discussione la mia vita fino ad allora ed oggi, dopo due anni di terapia, attraverso i colloqui, la riflessione e l’analisi dei sogni, ho finalmente trovato il coraggio di affrontare la vita … e la mia musica è tornata a cantare dentro di me.