di Eleonora Gasparini
Luca ha 24 anni, è un ragazzo piuttosto alto con i capelli scuri e gli occhi azzurri, labbra molto marcate ed uno sguardo che passa dal misterioso e scrutante al semplice ed esplicito.
Ha un fisico robusto ed atletico che sembra essersi trasformato da quando abbiamo iniziato le nostre sedute nel gennaio del 2005: all’inizio il suo ruolo di “super sportivo” e allenatore di calcio di una selezione regionale juniores era visibile ed ostentato attraverso muscoli delineati e un corpo che sembrava sprigionare forza in ogni movimento. Con il tempo, invece, soprattutto dopo le vacanze estive, si è notevolmente appesantito e i jeans ed i maglioni larghi che prima esibiva come un vezzo legato all’attuale moda, ora sembrano avere l’unico scopo di nascondere i chili di troppo che un’alimentazione smodata e la vita sedentaria hanno portato.
Lo incontro dopo una visita psichiatrica in cui è stato diagnosticato un DAP (Disturbo da Attacchi di Panico) e, da subito, parla della sua sintomatologia come di una “gabbia” che lo costringe a vivere una vita ben distante da quella precedente l’insorgenza dei sintomi.
Al momento dei nostri primi incontri non riesce ad uscire di casa se non è accompagnato e, se gli spostamenti non avvengono in macchina, compie brevissimi tratti ed avverte come impellente la necessità di ritornare subito a casa.
Ha appena fallito un importante esame di sbarramento all’Università (frequenta il DAMS) non a causa della sua impreparazione, ma dell’impossibilità di salire le scale che gli avrebbero consentito di accedere all’aula dove si sosteneva la prova: spaventato ha chiamato la madre che lo è andato a prendere e lo ha riaccompagnato a casa.
Prima di tale episodio, durante una passeggiata solitaria in un parco, a causa di un malore inspiegabile che non gli consentiva di respirare e di camminare, si è visto costretto a sdraiarsi a terra e chiamare un’ambulanza che lo ha condotto al Pronto Soccorso.
Esplorando insieme questi sintomi, Luca si sofferma sulla descrizione dettagliata della percezione del suo battito cardiaco che, inaspettatamente, senza causa alcuna, aumenta fino a fargli credere che potrebbe “esplodere” e causargli un infarto.
Nel racconto, Luca utilizza, esibendole, tutte le sue conoscenze e competenze “da sportivo”, spiegando quando ed entro quali termini un ritmo ed una frequenza possano essere tollerabili dal corpo umano e mi mostra attraverso quali gesti si accerta di come batte il suo cuore (controlla il polso, pone due dita sul collo all’altezza dell’arteria, guarda l’orologio e fa conteggi… ), sottolineando che la sensazione di non riuscire a tenere sotto controllo le pulsazioni lo spaventa a tal punto da costringerlo ad evitare tutti quei movimenti che potrebbero alterarle anche di poco.
Da giocatore di calcio e animatore parrocchiale, impegnato nell’organizzazione di gite e passeggiate in montagna, si è trasformato in giocatore di play station “da divano”, da ciclista e pattinatore in utente di macchina per qualsiasi minimo spostamento.
Racconta questa trasformazione di stile di vita con un certo distacco emotivo, come se narrasse di un amico o di un film appena visto al cinema, e si “scalda” solo ed esclusivamente quando ci soffermiamo a riflettere sulle reazioni di chi gli sta intorno rispetto al suo cambiamento.
Luca vive ancora in famiglia, composta dalla mamma cinquantenne, dalla sorella diciottenne e dal compagno della madre che lui chiama “mio padre”.
Il papà naturale è morto quando lui aveva sette anni per incidente stradale e, dopo pochi anni, la madre ha incontrato sul luogo di lavoro l’attuale compagno.
L’incidente del papà, la degenza in ospedale e il coma, sono stati tenuti nascosti a Luca che ha visto il genitore allontanarsi da casa e, inspiegabilmente, non tornare più; ha compreso la sua morte vedendo la mamma e la nonna piangere e sentendosi dire “adesso il mio uomo sei tu!”.
Luca bambino ha quindi ricevuto molto precocemente spinte a diventare adulto, si è dovuto occupare della sorella piccola insieme alla nonna, mentre la madre era impegnata a ricostruire la sua vita affettiva e professionale dopo il lutto subito.
La mamma, durante l’infanzia e la preadolescenza, lo ha trattato come una sorta di compagno cui raccontare le sue sventure affettive o lavorative ed ha spesso associato la figura del figlio con quella del marito scomparso. Luca ha dormito a lungo nel lettone, le ha tenuto compagnia nei momenti di difficoltà, non ha mai fatto capricci. Non ha mai brillato a scuola, ma non ha mai creato problemi e si è creato degli hobby che lo hanno allontanato da casa soprattutto quando la madre ha iniziato la nuova relazione con l’attuale compagno.
La mamma, dopo la morte del marito, non sembra mai aver riconosciuto Luca come figlio reale e concreto ma come appendice del coniuge, ricordandogli somiglianze, paragonandolo spesso a lui e continuando a sottolineare quanto Luca le ricordasse il marito; la sorella Chiara, nonostante Luca affermi che fisicamente sia molto somigliante al padre, non sembra aver ricevuto lo stesso trattamento…
La morte del padre risulta quindi un evento traumatico e l’imprevedibilità di tale avvenimento costituisce una grande ferita per Luca.
E’ ipotizzabile, quindi, che il DAP e il conseguente ed estremo controllo che vuole avere nei confronti delle sue condizioni fisiche, al fine di evitare un infarto, possono essere lette come un tentativo di allontanare da sé l’imprevedibilità della morte paterna: dopo la sua morte lui ne è diventato, per la madre, l’immagine presente, viva, vivente e questa somiglianza incombente lo terrorizza.
I rapporti all’interno della famiglia vengono descritti come positivi ma, nonostante Luca parli sempre dei “miei”, sembra evidente che i suoi discorsi e la sua attenzione si concentrino maggiormente sulla madre e sulla sorella e che il “nuovo papà” occupi un ruolo marginale.
Sembra esserci, infatti, un legame molto stretto tra Luca, la madre e la sorella: quest’ultima è partner delle partite alla play station, lo accompagna spesso nelle sue brevissime uscite ed è utilizzata come “spalla” anche nelle occasioni serali con gli amici, alle quali Luca non vuole rinunciare, ma che può permettersi solo se accompagnato e “in sicurezza”: “L’ ho accompagnata per una vita a casa dopo la scuola, ora è giusto che mi paghi il conto, d’altronde se non uscisse con me non potrebbe fare così tardi: le conviene alla fine!”.
Chiara non sembra fare commenti sul disagio del fratello, nonostante il paziente racconti di come lo segua con poca voglia “è troppo giovane per capire che se continua ad uscire con me conoscerà presto qualche bel ragazzo… ma prima o poi lo capirà”.
La madre, al contrario, è molto preoccupata per il malessere di Luca ed ha fretta che guarisca: “Mia madre dice che sono lento e che ci sto mettendo troppo a migliorare: certe volte mi chiede se è il caso che io continui a venire qui!”. La mamma di Luca farà vari tentativi di “invadere” il setting e la mia relazione terapeutica con il figlio con svariate incursioni telefoniche, finalizzate a fare richieste sull’andamento della terapia e sui tempi e le modalità di miglioramento. Con gentilezza ho sempre cercato di respingere tali “incursioni”, sottolineando l’autonomia del paziente e la necessità di mantenere lo spazio terapeutico un luogo in cui Luca potesse sentirsi libero ed indipendente da ogni condizionamento. Ho cercato inoltre di rimandarle l’idea che il figlio è ormai, da anni, maggiorenne ed economicamente indipendente e di conseguenza, legittimato a non renderla partecipe del suo percorso.
La preoccupazione della madre non sembra tanto legata al possibile insuccesso di Luca all’Università quanto piuttosto alla sua dipendenza dalla macchina, fonte di spese eccessive e simbolo della possibilità del figlio di allontanarsi da lei ed essere più autonomo.
Luca racconta di parlare molto con la madre rispetto a tutto ciò che gli succede ed il loro rapporto, a tratti, sembra rasentare la confidenza amicale piuttosto che un rapporto tra genitore e figlio: la madre è a conoscenza di tutte le relazioni affettive di Luca, si interessa delle modalità attraverso le quali il figlio ha conosciuto le ragazze, cosa fa insieme a loro, come si comporta.
Quando lo conosco, Luca è fidanzato con Paola, una brillante studentessa in Lettere Classiche che pone al primo posto il raggiungimento della laurea e lo sprona quotidianamente ad impegnarsi nello studio e a sostenere gli esami: durante il giorno Paola lo chiama al telefono per sapere se sta studiando, quanto sta studiando e con quanta intensità, proponendogli una sorta di tabella di marcia per la preparazione.
I due ragazzi stanno insieme da un anno circa e Luca sembra soddisfatto di questo rapporto, nonostante la scarsa passionalità della fidanzata e la sua non accettazione del disagio psicologico che lo affligge gli facciano sorgere dubbi rispetto alla prosecuzione della loro storia.
Luca ritiene di essere molto “passionale” durante i rapporti sessuali e richiede alla partner del momento lo stesso tipo di coinvolgimento. L’impressione che ricavo dalle sue descrizioni è che per lui la passionalità si colloca ai margini tra l’istintualità, la possibilità di lasciarsi completamente andare perdendo il controllo, la ricerca e la condivisione di fantasie erotiche di rapporti in gruppo, la possibilità di diventare una sorta di maestro e mentore per le ragazze che incontra e a cui vorrebbe aprire la strada alla conoscenza delle gioie del sesso.
Tali argomenti vengono spesso dibattuti ed analizzati insieme alla mamma, meno spesso con la compagna e la mamma vigila con una certa attenzione le prestazioni del figlio: i due si intrattengono spesso in chiacchierate su con chi, come, quando e quanto Luca faccia l’amore… . Luca sorride mentre mi racconta queste cose e sottolinea che la madre lo riprende durante i suoi racconti definendolo “sei proprio figlio di tuo padre, anche lui aveva tutte queste fantasie!”. Nonostante Luca racconti le sue relazioni come eventi straordinari ed invidiabili, in realtà, dai suoi monologhi emerge come egli viva i rapporti sessuali come vere e proprie prestazioni: richiede costantemente consenso e rassicurazione alla sua partner e sta attentissimo ad ogni reazione della compagna, cogliendone ogni piccola sfumatura.
Sottolinea spesso come ogni ragazza che lui ha avuto abbia sperimentato con lui la sua “prima volta” ed è con una certa soddisfazione che afferma di aver lasciato in tutte loro un segno indelebile del suo passaggio.
Nella tarda primavera il rapporto con Paola s’interrompe per volontà della ragazza, dopo una serie continua, continuata, ma mai scoperta, di tradimenti da parte di Luca che trascorre le giornate in compagnia di amiche o compagne di università (sempre a casa, sua o delle ragazze) e le serate con la fidanzata ufficiale.
Inizia una serie di incontri con ragazze diverse che Luca seduce ed abbandona, in un gioco di ricerca di qualcosa che nemmeno lui sa riconoscere e definire, fino all’incontro con Silvia, laureanda in ingegneria, schiva ma molto sensuale, fredda ma capace di “scaldarsi”, distante ma pronta ad allungare la mano nei momenti di necessità e di malessere legati agli attacchi di panico. Silvia è però una giovane donna indipendente, attenta al suo futuro e motivata a creare una storia stabile, duratura e con fondamenta solide: non intravede la possibilità di potere costruire ciò con il ragazzo, a causa della sua fragilità e lo lascia dopo poche settimane.
Luca appare superficialmente toccato da questa perdita, ma i contenuti che porta in seduta lasciano trasparire una connotazione depressiva, una certa paura ed ansia rispetto alla possibilità di rimanere da solo, di non riuscire a trovare una nuova fidanzata ma, soprattutto, di essere stato “soppiantato” da un compagno di studi di Silvia, preferito a lui in modo, per Luca, assolutamente inspiegabile.
Nel frattempo, spinto da un’amica, ricomincia a frequentare il gruppo parrocchiale come semplice “assistente” e gli viene proposto di trascorrere una settimana in un campo in montagna con la mansione di cuoco.
Accetta proprio perché gli viene richiesto solo di stare nella cucina e provvedere alle provviste e non dovrà invece avere a che fare con i ragazzi e con le passeggiate.
Durante il campo incontra due ragazze che fanno parte dello staff di animatori: ha una breve e clandestina (durante la notte, nella cucina i due si vedono per fugaci incontri sessuali) relazione con una delle due ed al suo ritorno, durante una delle ultime sedute prima delle ferie estive, si definisce “innamorato” dell’altra: una ragazzina molto bella di sedici anni che sembra ricambiare il suo affetto. La storia ha però una breve durata perché la ragazza appare da subito troppo giovane e spensierata, mentre Luca è da sempre attratto da ragazze che lui definisce “speciali”. Hanno frequentemente storie di vita complicate, padri assenti o violenti, madri fragili o disattente, oppure appartengono alla categoria delle studentesse modello ed “in carriera”, molto orientate al raggiungimento di un obiettivo, apparentemente fredde e distaccate. Nei confronti delle prime Luca si pone alla stregua di un salvatore, un cavaliere in armatura dorata che consente loro di scoprire che la vita può essere bella e piacevole; le seconde, rappresentano, invece, una sorta di sfida, “una botta di vita, come quando alla play ti ricarichi di energia e acquisti più potere quando concludi il quadro”, dirà lui stesso.
A capodanno durante un soggiorno in montagna con gli amici ha occasione di trascorrere del tempo con Laura, fidanzata del suo migliore amico, … la storia inizia, si sviluppa all’insaputa dell’amico e alla fine la ragazza sceglie di stare con Luca, secondo lui perché gli riconosce qualità migliori rispetto all’amico.
Cerchiamo di riflettere insieme su quali siano queste qualità e, con estrema difficoltà, al termine di una seduta emotivamente molto carica, afferma di non averne più: “Mi sento come un sacco vuoto, ho perso tutto ciò che di interessante possedevo…, non sono nemmeno più bello, sono grasso…” . Appare evidente la presenza, in Luca, di uno scarto tra la sua immagine ideale (il ragazzo bello che conquista con il suo fascino ed imprime il suo “sigillo”, l’amico onesto e disponibile, lo sportivo, l’atleta, il fratello migliore, il figlio migliore…) e quella reale (un ragazzo gradevole, ma molto appesantito che può essere lasciato dalla fidanzata perché interessata ad un altro, un amico che può tradire la fiducia altrui, uno sportivo “da panchina”, un fratello richiedente, un figlio stanco delle attenzioni della madre…). Il nostro lavoro terapeutico si orienta verso l’obiettivo di ridurre tale distanza e questo gli consente di rendere la sua immagine più dinamica, meno statica e stereotipata e di accedere ad un livello più consapevole ed autentico di scoperta (o ri-scoperta) delle sue peculiari qualità.
In questo periodo, collocabile verso la fine dell’inverno, Luca accusa un peggioramento dei sintomi, salta alcune sedute e subisce una sorta di regressione: è di nuovo costretto a rimanere in casa, ha paura di uscire nel timore di avvertire “ i vecchi e forti attacchi d’ansia”, abbandona il suo ruolo di allenatore e deve di nuovo assumere dei farmaci.
Appare evidente che la ripresa dei sintomi è in relazione al fatto che Luca non può più riconoscersi in quell’immagine ideale costituita dalla somiglianza con il padre che la mamma aveva da sempre sottolineato e amplificato.
D’altra parte però non sembra ancora sufficientemente in grado di fidarsi ed affidarsi a quella immagine di sé più autentica, costituita dalle sue reali caratteristiche e sgravata da quelle che gli erano state attribuite.
In questo periodo è quindi presente, ed emerge chiaramente durante le sedute, la difficoltà di Luca: egli oscilla tra il riconoscere pienamente e dare vigore alla parte di sé più autonoma o regredire verso il vecchio stereotipo.
Nel mese di maggio 2006 subisce un lutto: il nonno materno muore dopo una lunga malattia e Luca giunge in seduta dopo poche ore dall’avvenimento, dicendomi che: “questo è l’unico luogo dove sento di poter piangere” . Si lascia effettivamente andare alle lacrime, mi dice che ha paura di “non farcela”, di non riuscire a “salutare il nonno” così come avrebbe voluto e di avvertire una grande ferita, come se “qualcosa in me se ne fosse andato via per sempre”.
Rimango in silenzio, facendomi contenitore del dolore di Luca e sostenendolo nell’attraversamento di una nuova sofferenza che riattiva la vecchia ferita della perdita del padre.
Riporto e sottolineo a Luca che questa volta la persona che lo ha lasciato, l’ha “aiutato” a prepararsi a questo momento: la malattia del nonno è stata lunga e più volte anche noi ne abbiamo parlato,
cercando di esplorare insieme le emozioni che una tale situazione suscita. Luca mi risponde che “è come se piangessi ora tutte le lacrime che non ho mai potuto piangere”. Infine, conclude la seduta con una sorta di sorriso rassegnato, ma sereno e mi saluta dicendo “ancora una volta devo ringraziare mio nonno…, mi è sempre stato vicino ed ancora una volta ha fatto sì che facessi qualcosa di buono e di utile per me…”.
Per Luca, impegnato nel suo processo di crescita, questo è stato un momento molto importante.
Il contatto con emozioni vere, urgenti, inevitabili, gli ha consentito di avere accesso alla sua parte emotiva più nascosta, taciuta e negata, di poter entrare in relazione con affetti lontani di perdita e abbandono e di poterli esprimere all’interno di un luogo riconosciuto come sicuro, confidenziale e protetto come quello della seduta.
In questo periodo il nostro lavoro si è concentrato sull’esplorazione di queste emozioni, sulla sua paura incombente di ritrovarsi da solo, di essere abbandonato e di vedere le persone accanto a sé svanire improvvisamente. Abbiamo riparlato a lungo del padre, ma contemporaneamente abbiamo cercato di focalizzare l’attenzione sul futuro, andando alla ricerca delle sue vere inclinazioni e dei suoi desideri. La prospettiva di un futuro sembra, per Luca, una dimensione lontana e non raggiungibile e la possibilità di parlarne, di poterla prevedere, di riflettere su ogni eventualità gli ha consentito di dare avvio ad una dimensione più prospettica e, di conseguenza, “futuribile” di sé stesso.
In una seduta particolarmente significativa Luca mi racconta di essere andato in soffitta, di aver ritrovato delle vecchie foto del padre e di aver trascorso il pomeriggio a guardarle e a cercare di “ricollegare i ricordi”… Luca scopre con il papà reali somiglianze: il fisico robusto, il colore dei capelli, il sorriso e ciò sembra sollevarlo:“Non sono uguale a lui, come dice mia madre, ma noi due siamo simili” mi dirà sorridendo, stupito come colui che ha fatto una nuova ed insperata scoperta… Finalmente, per la prima volta, il fantasma del papà è stato sostituito dal suo ricordo.
Il periodo che segue appare molto costruttivo: Luca continua la relazione con Sara, parla e chiarisce la situazione con il suo amico (l’ex fidanzato di Sara), dicendosi molto dispiaciuto, ma incapace di far tacere i suoi sentimenti.
L’amico sembra accettare le sue “scuse” e riprende con lui i contatti interrotti nei mesi precedenti. Sara gli rimane sempre vicina, lo sostiene nel periodo di maggior difficoltà invitandolo a casa sua e non proponendogli attività particolarmente impegnative: in questo modo Luca “deve” uscire dalla sua “tana”, ma sa di muoversi per ritrovare un posto sicuro ed accogliente.
I loro rapporti sessuali non sono più così frequenti, ma Luca afferma di riuscire a viverli meglio, come momenti intensi, ricercati e voluti piuttosto che compiuti per “mostrare e mostrarsi”.
Nel periodo che precede le vacanze torna a fare progetti rispetto alla possibilità di occuparsi di nuovo della sua squadra di calcio: imposta un nuovo programma di allenamento e ne studia la pianificazione, che ai dirigenti del gruppo sportivo appare efficace. Gli viene affidata la preparazione del gruppo per un torneo estivo e, nonostante la squadra non vinca, Luca appare felice e soddisfatto per essere tornato al suo lavoro.
Riesce a concedersi una breve vacanza nella casa al mare di Sara e trascorre con lei giornate “tranquille e rilassate…, certo non riuscivo a stare in spiaggia tutto il giorno come lei avrebbe voluto, ma sono riuscito anche ad andare in bici e dare due calci al pallone nel campetto del paese”.
Il ritorno di Luca in città è segnato dall’ipotesi di un cambiamento radicale: il suo desiderio sembra ora quello di lasciare la casa dei genitori e di trovare un’abitazione autonoma.
La madre non reagisce bene a questa notizia e ricominciano le sue incursioni nel setting terapeutico: le telefonate e le richieste di rassicurazioni si susseguono ed io, questa volta, avverto, ancora più forte, la responsabilità di preservare le spinte verso l’autonomia del mio paziente.
La madre accompagna Luca alla visita di controllo dal medico psichiatra che lavora nel Centro terapeutico dove anch’io svolgo la mia professione: casualmente mi incontra e cerca di avere un colloquio con me. Gentilmente rifiuto l’incontro e le rimando nuovamente il concetto che il figlio è
in grado di scegliere se renderla partecipe o meno dei contenuti del percorso terapeutico che sta effettuando.
Luca comunque non lascia ancora la casa dei genitori: l’ipotesi di un trasferimento non sembra infatti ancora sufficientemente matura, sentita ed avvertita come un’esigenza reale di completa e concreta autonomia, quanto piuttosto come una sorta di allenamento all’idea di provare a cavarsela da solo…
Ora vuole provare a “camminare con le sue gambe” rispetto alla terapia e mi chiede un parere rispetto ad una possibile conclusione del nostro percorso.
Ripercorriamo, nel corso di quattro sedute, il lavoro fatto e concordiamo che sia possibile fermarci, entrambi soddisfatti degli obiettivi raggiunti.
L’autonomia dalla terapia mi sembra un allenamento all’indipendenza che Luca attualmente può sostenere ed è in questa direzione che accetto e concordo sulla possibilità della conclusione.
Nel corso dell’ultimo incontro, a settembre, Luca mi chiede se potrà “trovarmi sempre lì” e se posso concedergli qualche “incontro di verifica” se ne avvertisse il bisogno.
La paura di essere abbandonato e la sensazione che le persone possano sparire da un momento all’altro sono ancora vive e presenti in Luca, così come il suo bisogno di essere rassicurato rispetto alla possibilità che i rapporti non s’interrompano in modo immediato, inaspettato e, di conseguenza, drammatico.
Gli confermo che potrà trovarmi in studio e che, eventualmente, potremmo accordarci per un appuntamento di quelli che lui definisce “incontri di verifica”.
Ad oggi non ho ancora sentito Luca: l’ ho incontrato casualmente per strada in bicicletta mentre andava ad allenare la sua squadra di calcio…