• Centro Depressione Ansia e Attacchi di Panico - Corso Marconi 2 (ang. Via Nizza)
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  • Nel seguente articolo sono pubblicate alcune esperienze raccontate da persone che, dopo essersi registrate sul sito dell’Associazione per la Ricerca sulla Depressione, hanno inviato alla redazione la loro testimonianza, autorizzandone la pubblicazione nella sezione “Racconta la tua esperienza”.
    Ho scelto di non apportare modifiche ai testi inviati, salvo qualche correzione ortografica o di punteggiatura, e ho scelto di non farli precedere da una presentazione o seguire da un commento, preferendo non interferire con la risonanza emotiva del lettore.
    La varietà delle esperienze e la loro diversa coloritura emotiva testimoniano l’importanza della componente soggettiva del vissuto depressivo.

    Prima Luce, ora solo Buio

    Sono un ragazzo di 19 anni, il mio nome è Ben e non sono mai stato felice. Ho diviso la mia vita in quattro parti:
    a) 3-10 anni: fase di aumento di peso e inizio della consapevolezza di essere “diverso”.

    b) 10-14 anni: fase cronica, piena adolescenza, dove ho subito torture fisiche e psicologiche dalla gente che mi stava attorno e le prime discriminazioni sociali ad ogni livello. Solitudine. Aumento di peso.
    c) 14-17 anni: cambiamento psicologico, regolarizzate cattive abitudini (alcool, fumo), aumento progressivo dell’aggressività e dello sconforto di vivere, emozioni di odio e compiacimento nel vedere la sofferenza altrui, perdita di un anno di scuola dovuta al mio cattivo andamento, aumento del pessimismo, inizio della perdita di autostima. Ancora aumento di peso.
    d) 17-19 anni: stabilizzate le cattive abitudini, stabilizzata una personalità aggressiva e vendicativa, squilibri e sbalzi di umore, pessimismo cronico, perdita di peso dovuta ad un ricovero ospedaliero, scontroso, doppia personalità, arreso alla vita, falso, maligno e recentemente squilibrato mentale.
    Da sempre obeso, mai avuto una ragazza, ho sempre avuto difficoltà nel vestiario, discriminato e deriso da tutti. Ora giro con un moschettone da trekking in tasca nel caso mi trovassi in difficoltà di fronte a eventuali pericoli e dovessi usarlo come tirapugni per sfogare la rabbia di 19 anni di vita senza mai sorridere.

    E’ così da quando mi ricordo di esistere

    Fin da bambina, sembra assurdo, ma è così. Ricordo che mi isolavo e piangevo pensando sempre la stessa cosa: “Nessuno mi vuole bene”. Ora ho 40 anni e la mia vita è sempre stata un’altalena di malesseri più o meno consapevoli. Eppure gli altri pensano che io sia una donna forte, sempre sorridente, “così solare” mi dicono. L’unico modo che ho per stare bene è quello di non lasciarmi coinvolgere emotivamente. Ma non sempre è possibile e quando capita (nel lavoro, negli affetti, nelle relazioni familiari) e vivo anche una minima delusione, è un disastro. Penso che farei meglio a non esserci, a non vivere, a lasciar perdere tutto. Sono stata da due psicanalisti diversi, uno che lavora in un ospedale pubblico e uno privato (da un euro al minuto) ma, incoraggiamenti a parte, non sono riusciti a indicarmi una via d’uscita. Ho anche seguito una cura a base di farmaci, soprattutto per riuscire a dormire, che mi ha fatto stare meglio, ma quando l’ho sospesa (dopo tre mesi) è tornato tutto esattamente come prima. Sono certa che ne uscirò, com’è accaduto altre volte, usando la ragione, facendomi guidare dal raziocinio e dal buon senso, distinguendo quello che è giusto da quello che è sbagliato. Devo staccare il cuore, però, e vivere freddamente perché, se mi lascio travolgere dai sentimenti e dalle passioni, resto delusa, sto male e piango, non dormo, non
    voglio vivere. Chissà, forse ha ragione chi ha detto: “Ma gli idioti perché non soffrono di depressione?”. Forse è così e basta, come avere i capelli biondi o il naso storto, forse la depressione non è una malattia, ma è il naso storto. Qualche volta penso che avrei solo bisogno di non essere sola, di vivere come si faceva un tempo in comunità, tutti insieme con i nonni, i cugini, i parenti e i vicini, una vita più semplice e povera, ma forse più ricca di umanità. Nonostante tutto, io continuo a sperare…

    Dall’inferno al paradiso

    Per cinque anni ho affrontato innumerevoli momenti difficili: università, difficoltà economiche, incidenti stradali dei miei cari (uno dopo l’altro), perdita della mia migliore amica (non è morta, ma mi ha profondamente delusa). Andavo avanti con i denti stretti perché c’era l’obiettivo: laurearmi e fare un lavoro che mi gratificasse (per questo e solo per questo avevo trovato la forza di affrontare l’università). Finita la scuola trovo lavoro come receptionist… lavoro noiosissimo. Innumerevoli colloqui: solo stage non pagati e io non potevo accettarli, mi servivano soldi. Ecco quindi l’amara scoperta. Per otto notti non ho dormito, con l’incubo di dover andare per forza a fare un lavoro che detestavo. Allucinazioni, sensi di colpa che mi hanno condotto ad una crisi psicotica: la sensazione vivida di essere all’inferno, con urla da indemoniata. Fortunatamente per me lì c’era mio fratello che mi ha preso con la forza, gridandomi di fidarmi di lui… beh mi sono fidata e dall’inferno sono passata al paradiso. Io ci sono stata e non c’è niente al mondo come quella sensazione di amore infinito. Comunque… mi hanno ricoverata e dopo due settimane di psicofarmaci sono tornata alla vita. Poi altre ricadute, perchè la noia mi attanagliava e non sapevo che fare nella vita. Mi sono data alla mia sola passione: la danza. E’ stata una vera terapia per me… ma se devo dirvela tutta, il passo decisivo per uscirne è stato l’accettazione profonda della malattia. Nel momento in cui l’ho assecondata, ha smesso di farmi male e ho ritrovato il gusto per le piccole cose. Ora dirigo una scuola di danza, ho tanti amici e anche una nuova migliore amica. Sono tornata alla vita. Sono tornata all’amore. Sperate gente… se ce l’ho fatta io potete farcela anche voi. Un bacio a tutti. Vi voglio bene.

    Daniele: indefinibile

    Mi chiamo Daniele, ho 23 anni e sono malato di depressione da circa cinque. Scrivo probabilmente perché dichiarare di essere in depressione é già qualcosa. Mi fa schifo tutto, non amo più la vita, mi sento assente (una velina), odio le persone, sono diventato nel corso degli anni molto cattivo e inaridito, non nutro più buoni sentimenti: questo almeno é quello che penso. In fondo all’animo però sono buono, ma il mio carattere è duro e intransigente, esco poco di casa perché le persone non mi
    stimolano e ormai ho tutti sulle palle: non hanno idea di niente, vivono le loro vite insulse senza sapere cosa sia la sofferenza. Questo é il mio problema: soffro e non so perché, vado dai dottori, prendo medicinali, ma la cosa che più conta in questo momento é che la vita mi fa schifo. Agli altri tanto e a me merda da tirare giù tutti i giorni, agli altri la normalità e a me la sofferenza. Sicuramente é la depressione che mi ha reso così. Non posso dire di aver avuto attacchi di panico, ma l’umore é già da tempo sotto i tacchi e qualsiasi cosa faccia mi sento vinto dalla vita e impossibilitato a poterne godere. Le cose belle ci sono, ma se non le puoi vivere che senso ha la vita? Comunque bisogna cercar di reagire, ma come? Non so se mi capite, ma il male più grande é l’impotenza. Nella vita o ci sei, e allora tutto é comunque ok o non ci sei e allora sono cavoli amari. Carenza di amore: oltre al danno anche la beffa. Saluti a tutti

    La vita ricomincia

    Ho 40 anni e nella mia vita ho sempre dovuto lottare. Mio padre, anziano e alcolista, non mi ha dato sicurezza nè aiutato in nessun senso, anzi, all’età di 16 anni, a causa di un suo incidente stradale, oltre a studiare ho dovuto anche occuparmi della sua piccola azienda agricola. Nonostante la mia insicurezza, sono stato il miglior diplomato della scuola e i miei datori di lavoro mi hanno sempre apprezzato per l’efficienza e la capacità di risolvere i problemi. Nei rapporti interpersonali, forse a causa del mio carattere introverso ed un poco timido, ho sempre sofferto, ma mascheravo la mia insicurezza con l’attivismo e l’essere sempre in movimento. Nel 1992 in tre mesi ho praticamente perso entrambi i genitori, ma non mi sono abbattuto ed ho reagito. Ho sempre lavorato e nel poco tempo libero mi occupavo della piccola azienda agricola. Nonostante le difficoltà iniziali, sono riuscito a costruirmi una casa ed a raggiungere, a prezzo di enormi sacrifici, una piccola sicurezza economica. Quest’anno, in primavera, anche a causa di lavori impegnativi e forse per essere sempre di corsa, sono cominciate le crisi d’ansia. All’inizio di giugno sono crollato moralmente e fisicamente e sono entrato in depressione. Mi sentivo inadeguato, l’autostima era sotto i tacchi, non avevo voglia di mangiare nè di fare niente e la testa si perdeva in brutti pensieri. Mi sono subito rivolto ad uno specialista che mi ha aiutato, anche con farmaci, a uscire da quel momento negativo. Mia moglie, i miei suoceri ed i pochi amici che hanno compreso il mio problema mi stanno aiutando. Adesso, dopo due mesi, ho ripreso a lavorare, so di non essere completamente uscito dalla depressione e certe giornate sono veramente dure, però sto imparando ad accettarmi per quello che sono ed a considerare che nella mia vita ho anche fatto qualcosa di buono. Delle volte, anzi, penso che la depressione mi ha fatto capire che bisogna vivere la vita senza sensi di colpa e senza eccessivamente logorarsi. A tutte le persone che si trovano in questa situazione dico: possiamo
    uscirne, noi siamo diversi dagli altri perchè siamo più sensibili, ma questa esperienza negativa ci renderà più forti.

    Dipendenza affettiva

    Me ne sono resa conto da poco, da quando ho chiesto pubblicamente aiuto, ma in fondo sapevo che il mio modo di amare non era giusto e che più amavo più soffrivo. Sono anche arrivata a pensare di farla finita: non volevo che la mia vita continuasse con quella sofferenza. Poi mi sono fermata. Ho rivissuto gli ultimi anni in un lampo e mi sono vergognata di me e di quello che avevo fatto. Lo conobbi per caso, dopo sette anni felici di matrimonio ed una figlia, ed entrò nella mia vita. Ero lusingata che un uomo così brillante, pieno di impegni, mi guardasse. Ero sovrappeso, mi vestivo da maschiaccio, eppure avevo intuito che gli interessavo. Gli bastarono poche parole ed in soli sei mesi persi 15 kg (non mangiavo più) e cambiai look. Ascoltavo e seguivo ogni sua parola e poco per volta mi innamorai. Ma per lui una relazione extraconiugale con me non andava bene (anche se ne aveva avute altre). Ogni volta che avevamo rapporti intimi, il giorno dopo mi accusava di essere io a spingerlo a tradire sua moglie. E così sono passati gli anni, io sempre al suo fianco al lavoro, sostenendolo, supportandolo, sacrificando la mia vita e carriera per la sua, sperando che un giorno potesse cambiare e riuscire a non sentirsi e a non farmi sentire in colpa per questo sentimento. E’ inutile aggiungere che non è cambiato, anzi ora si è anche allontanato. Non ci vediamo da qualche tempo: mi manca immensamente, ma sono molto più forte di prima. Ora le energie le utilizzo per me, per andare avanti e non più per lui, per piacergli, per essere all’altezza di ogni situazione, per essere brillante, simpatica, amica, amante e confidente. Ora provo rabbia nei suoi confronti. E’ sempre riuscito a tenermi al guinzaglio e se provavo ad allontanarmi, riusciva a riportarmi accanto a lui. Ne ho parlato con degli esperti, entrando molto più nel dettaglio di quanto si possa fare in poche righe, ho pianto ed ho provato compassione per me, mi hanno detto “Lei soffre di Dipendenza Affettiva”: peccato però che non sono stati in grado (struttura pubblica di Milano) di prendermi in carico, così giorno dopo giorno imparo da sola e scrivo, ricordo e piango.

    Se ne può uscire

    Ho 44 anni di cui almeno 30 passati soffrendo di depressione. I primi disturbi li ho avvertiti intorno ai 13/14 anni, ma forse ne soffrivo in maniera latente già prima. Ricordo che il mio medico curante, un generico, mi aveva diagnosticato “distonie neuro-vegetative” forse in mancanza di un termine migliore, ma non sapeva nè darmi una cura nè indirizzarmi ad uno specialista. Soffrivo d’ansia, sebbene allora non lo sapessi, e le crisi sono aumentate dopo la morte di mio nonno (1979). L’anno seguente morì anche mio padre e le mie capacità di reazione, già piuttosto scarse, furono
    compromesse definitivamente. Ho avuto anche la sfortuna di vivere in un ambiente non proprio amichevole (familiari compresi) dal momento che non solo nessuno mi ha aiutato, ma ero addirittura preso in giro e questo ha aumentato la mia sofferenza. La mia vita era totalmente compromessa: non avevo una fidanzata, nè un lavoro stabile, nè una vita sociale. Gli attacchi di panico mi hanno costretto ad andare un paio di volte al pronto soccorso, ma nessuno mi ha mai detto che il mio male era curabile. Dal 1996 al 1999 sono stato preda all’ansia, completamente assuefatto al Lexotan (90 gocce il giorno) che oramai mi autoprescrivevo. Nel 2000 la svolta. L’8 febbraio 2000 per l’esattezza. Nonostante la profonda sofferenza, parzialmente addormentato dalle benzodiazepine, ho trovato la forza di trasferirmi a Firenze per lavoro. Non so spiegare bene perchè, forse l’aver cambiato città e aver conosciuto persone nuove, tra cui Deborah, a cui probabilmente devo la vita. Da quella data ho preso coscienza del male che mi affliggeva da tempo e che in pratica mi aveva letteralmente ingoiato l’esistenza e sono corso ai ripari, contattando uno psicologo. Psicoterapia a cadenza settimanale per quasi quattro anni, oltre all’intervento di uno psichiatra per eliminare l’assuefazione al Lexotan. Ho recuperato lentamente la voglia di vivere, lo stimolo sessuale e la voglia di fare le cose che più mi piace fare. Non mi sono mai sentito così in vita mia. Ho tenuto duro tra tante difficoltà e al 90% ne sono fuori. Mi sono aggrappato con tutte le mie forze all’opportunità di guarire perché avevo quasi immediatamente capito una cosa: se ne può uscire.

    Baba: un parto difficile

    Ho 34 anni e sono mamma di due bimbi meravigliosi. Dopo cinque anni di matrimonio, mio marito ed io abbiamo deciso di avere il nostro primo figlio il quale, peraltro, non si è fatto attendere. La gravidanza è stata splendida: nessun problema fisico e le attenzioni di tutti rivolte unicamente su di me e sul mio pancione! Fantastico! Finalmente arriva il momento tanto atteso ma, contrariamente alle mie aspettative, devo sottopormi ad un parto cesareo. Ecco la prima grossa delusione seguita, immediatamente, dalla seconda: il piccolino non vuole saperne di attaccarsi al mio seno perciò sono costretta ad allattarlo artificialmente. Il mondo sembra cadermi addosso, mi sento una mamma fallita ed il bambino che ho tanto voluto mi appare ora come una presenza ingombrante! Piango in continuazione, un senso di profonda angoscia mi accompagna durante tutte le giornate che, peraltro, mi sembrano interminabili, sono assillata dall’idea che la mia vita non sarà mai più quella di prima, che non riuscirò più ad occuparmi delle mie cose perché ora sono madre di un piccolo sconosciuto che dipende totalmente da me! Con mio marito non riesco più a comunicare, mi sembra che lui non sia in grado di capirmi; l’unica persona che voglio accanto a me è mia madre perché so che anche lei, in passato, ha sofferto di problemi di tipo depressivo. Dietro suo consiglio mi rivolgo ad uno specialista ed inizio un percorso psicoterapeutico. Scopro così che la cosiddetta depressione post-
    partum colpisce circa l’80% delle donne e, devo dire, questa informazione un po’ mi rincuora. Personalmente non ho avuto bisogno di prendere farmaci, ma sono riuscita con il supporto psicologico ad affrontare le difficoltà che, inizialmente, mi sembravano insormontabili. Oggi Andrea ha quasi sei anni ed il suo fratellino due. Ogni giorno con loro e per loro imparo ad essere “mamma”, ogni giorno loro m’insegnano ad apprezzare la vita.

    Ma quanto è lungo questo tunnel

    Nella mia famiglia la comunicazione è distruttiva: mi sono sempre sentita diversa e quindi sola. A

    17 anni ho tentato il suicidio: avevo paura dei miei professori, così la scuola andava male e a questo si aggiungevano i sensi di colpa nei confronti dei miei genitori. Non ho mai avuto il coraggio di dire si a qualcuno dei miei corteggiatori. Mi sentivo inferiore. A 21 anni mi è stata diagnosticata un’ulcera duodenale. Mi sono iscritta alla prima facoltà che mi è venuta in mente ed ho sbagliato. Il tempo passava ed io sprofondavo sempre di più nell’angoscia. Attacchi di panico, autolesionismo, alcol e ospedali. Finivo al pronto soccorso una sera si ed una no a causa dell’alcool. Ho rischiato di avvicinarmi alla droga: niente aveva più senso, non vedevo un futuro e nel presente soffrivo. Avevo due vite: all’università ero una sbandata, a casa ero la solita dolce bambina di sempre. Nessuno si accorgeva di niente. Poi ho iniziato con il cibo, ho preso 20 chili, tra alti e bassi, perchè c’erano anche periodi in cui il cibo non mi piaceva. Un giorno, dopo l’ennesimo pronto soccorso, mi sono decisa a chiedere aiuto: avevo 29 anni. Tra psichiatri e cure mediche mi sono laureata. Ma non ho raggiunto la serenità, anzi è iniziato un altro periodo di malessere fisico e mentale. Non riesco ad uscire dal tunnel, c’è il vuoto intorno a me. Ho paura di viaggiare, di prendere decisioni, di comunicare con la gente, per non parlare dell’insonnia: sono anni che non dormo bene. Da cinque mesi vado da una psicologa: mi dice che devo cambiare modo di pensare, che non posso cambiare gli altri, mi sorride, pensa che tutto si aggiusterà e che, in fondo, non ho poi un grande problema. E’ una depressione lieve che si può curare. Questa lieve depressione mi ha fatto perdere gli anni più belli della mia vita: ho fatto cose di cui adesso mi vergogno, ho perso amici e spesso il rispetto per me stessa, mi sento stupida e non credo di essere fuori pericolo. Il lato comico della situazione è che la mia famiglia non sa niente, per loro rimango sempre la dolce e stupida bambina. Ho 33 anni, vivo ancora con i miei e non riesco a vincere questa guerra. Per adesso non ho intenzione di arrendermi, ma quanto durerà questa sofferenza?

    Uno studente

    Ho 26 anni e mi trovo in un tunnel dal quale non riesco più ad uscire. Ho sempre avuto ottimi risultati a scuola fin dai primi anni di università. Per lo studio ho rinunciato a molte cose,
    accantonando sentimenti e svaghi. Poi è cominciato un periodo di instabilità psicologica: la mia omosessualità repressa si è manifestata in modo dirompente e mi ha portato ad un difficile cammino di autoaccettazione fisica ed etica. Ora ho accettato la mia natura, sono contento di essere così e non ho né paura né vergogna del mio modo di vivere. In quel periodo i miei risultati universitari sono stati meno brillanti: ora sono riuscito con fatica a portarmi ad un solo esame dalla laurea, la mia media però si è abbassata e al senso di frustrazione per i risultati ottenuti si è aggiunto il disinteresse. E inoltre ho un’ansia lacerante per il mio ultimo esame, che tento ormai da vari mesi senza riuscire a superare, ingabbiato come sono in un misto di inadeguatezza, timore e svogliatezza. Ho perso la combattività che avevo nei primi anni di studio e la voglia di vivere la mia vita. Come se l’avessi già esaurita tutta. Negli ultimi tempi la cosa è peggiorata ulteriormente perché i miei amici si stanno tutti laureando e cominciano ad entrare nel mondo del lavoro, mentre io sono rimasto dietro a tutti. Sto cominciando a provare un malessere profondo anche solo ad uscire di casa, a stare con chi ce l’ha fatta e chi può vantare un lavoro, un praticantato o qualche altra esperienza stimolante.
    Vorrei dare un taglio alle cose accantonando l’università per un periodo e trovarmi un lavoro, ma temo di deludere profondamente i miei genitori, i quali non mi hanno MAI fatto pesare niente, sono sempre stati molto comprensivi, hanno accettato anche la mia omosessualità, ma sotto sotto sperano che questo figlio un giorno dia loro grandi soddisfazioni.
    Lo spettro del fallimento è sempre più presente e sempre più vicino. Non so che fare. Ho un ragazzo meraviglioso di cui sono innamoratissimo, ma non riesco a non pensare al fatto che la sua stima nei miei confronti possa un giorno svanire a causa dei miei fallimenti professionali. Questa situazione mi porta a pensare di essere meno intelligente degli altri. Anche se ho studiato tanto e conosco tante cose, non è dalle nozioni che si misura l’acutezza mentale. Sono sempre sul chi va là. Se c’è un confronto, penso che gli altri abbiano ragione ed io torto. Il mio ragazzo mi sta molto vicino e conosce i miei disagi, almeno in linea generale, ma temo che si allontani se la mia costante frustrazione dovesse continuare. La mia non è tanto paura di rimanere solo, quanto di perdere l’amore per colpa mia.

    Combatteremo!

    Mi chiamo Giovanna e, come tanti di voi che avete dato la vostra testimonianza in questo sito, anch’io purtroppo ho avuto a che fare con questa brutta malattia. La mia infanzia e la mia adolescenza non sono state delle migliori, ma i primi sintomi della malattia sono apparsi con la nascita della mia bambina. Fino allora non sapevo niente della depressione. Ho fatto una cura, ma il dottore si è dimenticato di dirmi un particolare molto importante: di non lasciare le medicine anche
    dopo il miglioramento. Interrompendo i farmaci dopo alcuni mesi di cura, sono ricaduta in poco tempo in un periodo ancora più buio. La mia vita è stata un’altalena di alti e bassi, però in qualche modo, grazie all’amore verso la mia famiglia e all’aiuto della cura, ho superato questo brutto periodo. Ammetto di essere stanca della mia eccessiva sensibilità perché, all’età di trentanove anni, vorrei finalmente riuscire a trovare un poco di pace interiore. Comunque non mi arrendo e prego il Signore di darmi la forza per uscire da questo torpore e, con un poco di buona volontà, modificare in meglio la mia vita. Un consiglio che posso dare a tanti di voi che si trovano in uno stato d’animo simile al mio è di non arrendervi mai, anche se vi sembra che la vita non valga la pena di essere vissuta. Pensate a chi sta peggio di voi: persone che devono combattere con tumori oppure altre che, a causa di incidenti, sono diventate invalide. Spero di avervi dato un pizzico di energia per andare avanti e pensare finalmente ad un futuro migliore. Un abbraccio grandissimo a tutte le persone che soffrono, sappiate che non siete sole perché il Signore, attraverso la preghiera, vi aiuterà.

    Non ne uscirò mai

    Nessuno mi ha mai detto che sono depressa, l’ho capito da sola. E’ iniziato tutto quattro anni fa, a 13 anni. Ero esclusa da tutti, nessuno mi capiva e durante una lezione su Pirandello sono scoppiata in lacrime. “Ognuno porta una maschera”. E’ vero. Mi sono resa conto che nessuno mi accettava com’ero. Mi sono chiusa sempre più in me stessa e nessuno riusciva a capire cosa avessi. “Problemi esistenziali” li hanno definiti. Alle superiori le cose non sono cambiate e a casa andava sempre peggio. Pian piano è nato il desiderio di farla finita. Sono una vigliacca, non ne ho mai avuto il coraggio. Col primo fidanzato le cose sembravano cambiare e ho cominciato a comprendere il valore della vita. Mi ha lasciata dopo cinque mesi, dicendomi che ero solo un’esperienza. Ci sono voluti otto mesi per dimenticarlo. Il secondo è stato peggio. Lui mi amava davvero, ma mi ha lasciata quando s’è trasferito a 100 km da me. Sono passati sette mesi e ancora non riesco a rassegnarmi. Mi ha abbandonato anche lui, come tutti. Come se non bastasse, sono stata bocciata a scuola. Ormai non ho più fiducia in me. Due mesi fa sono scappata da scuola e ho preso il treno. Avevo solo quattro euro. Ho fatto preoccupare tutti, ma non m’importa. Non ci sono arrivata certo da sola a questo punto. Ormai non studio più. Mi hanno convinto a parlare con lo psicologo della scuola. Sta cercando di convincermi che alla base di tutto c’è il rapporto inesistente con mio padre. Ho superato questo problema, non ci faccio più caso. L’altro giorno mi è tornata in mente l’idea del suicidio. Userei dei farmaci a scuola in modo da svenire davanti a tutti e dare loro la possibilità di salvarmi. Non voglio morire! Esiste ancora un pò di speranza in me. Forse così facendo capirebbero che la cosa è più seria di quel che pensano. Non voglio credere che l’unica soluzione sia la morte! Dio non può avermi abbandonato proprio ora che ho più bisogno di lui! Mi hanno sempre giudicata
    strana, addirittura pazza per ciò che ho fatto. Non m’interessa il giudizio della gente, loro non sanno cos’ho dentro. Ho provato a riprendermi, ma ogni delusione mi butta sempre più giù. Ormai non riesco più a vedere la luce. Ho bisogno di aiuto. Perchè nessuno lo capisce?!?!

    Io ne sono uscita

    Mi ha spaventato tantissimo, anche perchè non pensavo fosse così grave… non pensavo che ti pigliasse il cervello… che ti annullasse totalmente… che ti rendesse incapace di leggere un libro, di fare il caffè… E mi ha spaventato. Ho creduto di essere impazzita, di essere di colpo diventata inutile, incapace. Mi domandavo se la gente se ne rendesse conto. Cercavo di spiegarlo ai miei amici. Volevo una risposta, qualcuno che mi dicesse che non ero pazza e che mi sarebbe passato. Mi chiedevo se era possibile perdere così la ragione… la capacità di fare… la voglia di vivere… Non c’era razionalità in niente di quello che pensavo… Non avevo opinioni, pareri, idee. Il vuoto. Volevo morire perchè pensavo che così non sarei servita a niente. E ho lottato. Aggrappandomi al passato, ho cercato di comportarmi come facevo prima e di uscire e vedere gente. Anche se uscire era la cosa che più non volevo fare al mondo. Vedere gente poi… Odiavo la gente, non riuscivo più ad interagire con nessuno… I miei stessi amici mi mettevano in imbarazzo. Non ricordavo il tipo di rapporto che avevo con loro prima di “ammalarmi”. Ma l’ho fatto lo stesso… con immani sforzi di volontà e di memoria. Perché, oltre alla totale assenza di volontà, anche la mia memoria a breve termine era morta. Un’altra cosa tremenda erano i ricordi della mia vita passata. Le cose le ricordavo, certo, ma come se non le avessi vissute io, come se non mi fossero mai appartenute. Non provavo più sentimenti né per mamma, né per i miei fratelli, né per nessun altro. Era un incubo. Ma io me ne rendevo conto e volevo uscirne: chi sa cosa significa ridere, non può accettare di non farlo più. Dovevo tornare normale. E non perché mi piacesse la normalità, ma perché così stavo male. E ho fatto tutto, controvoglia, ma l’ho fatto. E alla fine ci sono riuscita. Senza farmaci e senza dottori. Ora sto bene. Ed è questo che voglio dire a tutti. Se ne esce. Non disperatevi. Si guarisce e dopo tutto torna come prima.

    Dopo sarà meglio di prima

    Ciao. Sono Leila e anch’io ho scoperto la depressione sei mesi fa, quando avevo un ragazzo, frequentavo l’università, avevo amici e una famiglia stupenda… non me lo sarei mai aspettato. In realtà mi è stato difficile riconoscerla: ho iniziato a soffrire di inappetenza, nausea, vomito, poca concentrazione, ma soprattutto ero tanto e sempre più stanca. Ad un certo punto ho iniziato quasi ad arrendermi e a passare tutte le mie giornate a letto a piangere. Ho consultato mille specialisti (gastroenterologo, internista…) e a fare mille esami perchè pensavo che si trattasse di un male fisico,
    ma non era così. Dopo due mesi ho iniziato a fare psicoterapia e a prendere antidepressivi. Dopo mille effetti indesiderati ho smesso di piangere e ho ricominciato piano piano a uscire e a tornare alla mia vita normale. Dopo tre mesi e mezzo di terapia, mi sento più sicura di me, più energica, ma continuo a sentirmi depressa perchè non riesco più a concentrarmi per studiare. Qualcuno sa se questo dipende dalla depressione? Mi sento inutile perché la mia vita non va più avanti, perché tutti i progetti che avevo per il mio futuro riguardanti il lavoro e l’amore sono svaniti. L’unica cosa positiva è che ho iniziato a studiare me stessa per capire su cosa sono caduta ed è strano come una superficialona come me sia diventata così analitica. Solo ora riesco ad apprezzare le cose più semplici, a prendermi meno sul serio e a godermi di più la vita. Ho scoperto di avere accanto degli amici stupendi che mi hanno sopportato tutto il tempo e mi hanno saputo ascoltare. Attraverso le mie confidenze siamo anche riusciti a diventare più intimi e più complici. Mi sono accorta che tutti, in maniera più o meno visibile, più o meno grave, hanno dei piccoli grandi problemi. Ora sono loro a telefonare a me per sfogarsi e per chiedermi consigli. Vorrei dirvi di non rinchiudervi mai in voi stessi, di avere il coraggio di parlarne con le persone più care o con le persone che avete appena conosciuto. Tutti possono darvi un consiglio e parole di conforto perché vi confideranno che ci sono passati anche loro e non vi faranno sentire soli. Non vergognatevi mai perché non siete gli unici. Ora sono molto più sensibile e non sono falsa se vi dico che vi voglio bene e vi sono vicino perché so cosa significa… prima o poi ritorneremo come prima… anzi meglio di prima… Un bacio.

    Confusione

    Non so perché vi sto scrivendo e non so perché mi sta succedendo tutto ciò. Non mi è successo niente in particolare, nessun evento tragico o particolarmente negativo. Nonostante ciò, credo di avere problemi di depressione. Ho 23 anni e mi sembra che la mia vita si stia dirigendo verso un fallimento clamoroso. Niente di ciò che mi circonda mi entusiasma più, non ho particolari legami affettivi che mi diano la voglia di vivere, non faccio una vita che mi gratifichi e, senza tanta delicatezza, dico che sono uno che perde. Paradossalmente dall’esterno sono giudicato una persona realizzata nella vita solo perché mi sono laureato, ma non è così. Io amo la musica, sognavo di condividere questo mio amore con tante altre persone, sognavo di far diventare questa mia passione come un punto cruciale per la mia vita, ma non è stato così. Sono solo, disperatamente solo e anche quando mi capita di passare una serata in compagnia, mi sento solo lo stesso, mi sento circondato da estranei che in nessun modo possono condividere qualcosa con me. La gente è fredda, mi fa paura e ho paura di mostrarmi così come sono, con le mie debolezze. Troppe volte ho avuto occasione di provare sulla mia pelle quello che succede quando dai troppa fiducia alle persone, ma ora basta. Una cosa è certa: così è difficile andare avanti, ho la percezione di essere vicino ad un punto critico.
    Ho paura di me stesso, non ce la faccio più a fare questa vita da automa, perché questo sono diventato: un automa travolto dalle “cose da fare”, uno che funziona, non che vive. Sento di avere le potenzialità di poter realizzare al meglio le mie aspettative, ma vedo il tempo che mi sfugge, vedo gli altri felici ed io triste, gli altri che raggiungono i loro obiettivi ed io che sto immobile, gli altri che vincono ed io che perdo. Vedo la mia gioventù consumarsi in una vita che non vale la pena vivere, grigia e insignificante. Non mi voglio più bene, odio me stesso e la mia esistenza vuota, ma pesantissima allo stesso tempo. A volte spero in un cambiamento, in qualcosa che succeda e che cambi le cose, ma mi sento nel baratro e ho lo spaventoso sentore che anche la speranza in me stia gettando la spugna. Sento che la mia esistenza si è svuotata lentamente, prima delle persone, poi dell’entusiasmo, poi dell’energia ed infine della speranza. Mi capita di pensare che nonostante tutto non può finire così, non può rimanere solo la delusione di un sogno che si è sbiadito… anelo ad un lieto fine.

    Prima o poi…

    Ho 24 anni e non so esattamente da quanto tempo soffro di depressione: è una cosa che mi sembra di aver sempre avuto. Sto male quasi tutta la settimana, non riesco a studiare, a realizzare nulla, sono apatica, avevo un ragazzo e, prima che mi lasciasse, la mia vita sessuale era pessima, proprio perché non mi entusiasma più nulla, neanche quello. Ho spesso nausea e poca voglia di mangiare, è come se non sentissi i sapori, mi sono isolata sempre di più negli ultimi mesi. Non so prendere nessuna decisione, ci sono giorni talmente vuoti che mi spaventa pensare di doverne affrontare un altro il giorno dopo. A volte, per cercare di riuscire a fare qualcosa, ho scritto dei piccoli programmi, tipo “alzarsi presto, prepararsi in fretta, andare in facoltà…” eccetera e a qualcosa è servito. Solo che poi mettermi a studiare quando sto male è impossibile: è difficile già quando sto benino… e il circolo vizioso continua perché, nonostante i miei studi siano sempre stati ottimi, ora che mi avvicino ad un primo traguardo ho rallentato e non riesco a concludere nulla, né esami né tesi. Affrontare la tesi, nonostante l’abbia scelta io, è per me un ostacolo che sembra insormontabile. La concentrazione non esiste, se non raramente, figuriamoci la memoria… iniziare qualsiasi cosa è troppo difficile. Passo più tempo a dedicarmi alla cura del corpo: mi sembra di occuparmi di me stessa almeno in quello. Ci metto troppo tempo semplicemente a vestirmi perché sono incapace di decidere e mi passa la voglia d’uscire. Poi ho anche avuto degli attacchi d’ansia, crisi di pianto improvviso, anche senza motivo, forte battito del cuore. Ho paura delle altezze, scogliere, burroni e prima non ero così… la mia solitudine è stata spesso terribile, causata anche da me in parte… insomma avrei da dirne per giorni. Ma da qualche tempo ho parlato… ho parlato con delle amiche fidate… non possono capire bene come sto, perché chi non c’è passato non si rende conto,
    razionalizza… ma solo parlare fa bene e soprattutto le persone che ti vogliono bene capiscono che devono starti molto più vicine e questo aiuta ad aprire uno squarcio nella solitudine. Ho imparato a fregarmene di più delle persone che non ti aiutano, perché il pensare come potessero valutare il mio comportamento mi faceva stare peggio. Pur sapendo di dover andare da uno specialista, non l’ho mai fatto perché costa. Una delle mie amiche mi ha poi confidato di aver fatto un colloquio con uno psichiatra per degli attacchi d’ansia… in un’ora e mezza già aveva capito diverse cose. Ma per me il problema è il costo perché non voglio pesare troppo sui miei genitori: quando mi ha detto che forse c’era semplicemente un ticket per diverse sedute ho sperato… ora attendo di poter andare anch’io. Vi assicuro che è come se avessi visto la luce… prima parlare, poi avere qualcuno vicino, poi sperare di uscirne… tempo fa pensavo che ne sarei uscita da sola, prima o poi. Ora però sto così male che mi rendo conto di non potercela fare da sola e mi sembra di non poterne uscire mai: ho paura di farmi del male e a volte desidero la morte. E’ in questo stato che mi trovo ancora, ma aspetto di poter parlare con questo psichiatra e vedere un pò che mi dice e se mi aiuta, anche perché mi rendo conto che più sto male e più si accentuano tutti i problemi, di famiglia e di studio. Per me è importante arrivare almeno alla laurea, ma così è troppo, troppo difficile. Tanto gli esami li salto comunque, quindi accetto le mie capacità diminuite, cerco di fare quello che posso senza aumentare i sensi di colpa e magari fra qualche mese starò meglio e potrò dedicarmi alla mia tesi, alla mia passione per la storia dell’arte che, per questa depressione, ho trascurato e non mi dà più soddisfazione come prima. Ho pianto leggendo le esperienze degli altri e piango anche se leggo la mia. Spero davvero di stare meglio, perché non credo proprio di meritarmelo. Spero che tutte le altre persone che leggono o che hanno scritto e che ancora non hanno fatto nulla, parlino con qualcuno e ci sarà una speranza, almeno una speranza… Grazie.

    Non so più cosa pensare

    Mi chiamo Giacomo e ho 19 anni. Non so più cosa pensare. Non ho amici, non ho amiche, l’unica ragazza incontrata un giorno al mare, come succede nei film, l’ho persa a causa dei miei genitori e dei miei zii. Ho solo due conoscenti con cui ho passato degli squallidi e inutili sabati sera e qualche pomeriggio. Mai una festa, mai vista una discoteca, niente di niente! Mi piacciono le moto, ma i soldi, che per anni ho messo da parte per acquistarne una, li ho dovuti sprecare per un incidente in macchina in cui avevo torto, quindi niente di fatto! Ho passato pomeriggi a studiare per prendere un quattro o al massimo un cinque, mentre i miei compagni di classe, che uscivano tutti i giorni e non studiavano mai, magicamente prendevano sempre otto e si lamentavano dicendo “che sfiga”! Mio padre non so che diavolo abbia, ma ogni mattina bisogna pregare che non sia di cattivo umore. A mia madre quegli incapaci colleghi di lavoro stanno facendo venire l’esaurimento. Poi mi dicono:
    ma perché non ridi mai? Ma ancora non hai la ragazza? Oggi perché non esci con gli amici? E io vorrei gridare: ma di quali amici parli! Io non ce li ho! Ho fatto sempre di tutto, ho cercato di aiutare molta gente, sono stato sempre gentile e credevo in un Dio buono che ama tutti! Invece non è così! Inoltre non posso fare sport perché, se tutto questo vi sembra poco, ho anche una malformazione al cuore: 12 casi nel mondo quando sono nato! La mia solita fortuna! Insomma, la mia vita fa veramente schifo. Ho 20 anni, non ho amici nè amiche, non ho mai festeggiato un mio compleanno né sono mai stato invitato a quello di qualcuno… Mi dicono che ci sono le persone che mi vogliono bene. Ma chi? Era meglio se non fossi nato.

    Fin dall’infanzia…

    La mia avventura con questa “malattia” è iniziata probabilmente già fin dall’infanzia, ma non voglio spingermi così lontano. Vi dico solo che ho fatto diversi anni di psicanalisi e ho avuto una vita particolarmente intensa, sebbene abbia solo 41 anni: figlio di separati dall’età di otto anni, sposato la prima volta a 23 anni, la seconda a 38. Due figli dal primo matrimonio, che quest’estate sono andati via con la madre, tornando nella città nativa (a 500 km di distanza), a dispetto del rapporto che avevo con loro. Ma non credo sia questa la causa principale della mia malattia.
    La situazione attuale è questa: nel mese di dicembre 2005 ero arrivato in uno stato di depressione tale da non riuscire più a fare nulla. Ricordo che al tempo avevo ospiti i miei genitori a casa: sia loro che mia moglie erano seriamente preoccupati.
    Durante il periodo della psicoterapia (dai 23 ai 35 anni, per tutta la durata del primo matrimonio) ho fatto uso di Tavor alla dose di 3 mg il giorno. Probabilmente il medico che mi aveva in cura non riteneva che avessi bisogno di antidepressivi, anche perchè il loro uso non rientrava nel suo metodo di cura. Diciamo che il Tavor è stata quasi una mia scelta, visto che mi rendevo conto di essere particolarmente ansioso. Per un anno circa ho interrotto le sedute con lo psicoanalista presso cui ero in cura, visto che lui, per motivi familiari, era stato costretto ad allontanarsi dalla città in cui vivevo. Sono andato da un’altra analista, anch’essa della stessa scuola del precedente. Ad un certo punto ho deciso di smettere di prendere il Tavor (dopo ben 17 anni), in quanto mi sembrava una schiavitù: è stata una cosa alquanto difficile, ma ci sono riuscito. Da quel momento il mio comportamento con i familiari e a lavoro è peggiorato: trovavo difficile lavorare all’interno di un ufficio perchè la cosa mi provocava uno stato di oppressione. Mi sono state diagnosticate ulcere gastroduodenali, ernia iatale e gastroesofagite da reflusso.
    Spesso soffrivo (e soffro tuttora) di manie di persecuzione: passo mentalmente da un “colpevole” ad un altro, probabilmente perché il mio inconscio cerca una causa esterna, una responsabilità. Ma
    spesso mi rendo conto che sono io stesso a peggiorare le situazioni, fino a far sì che effettivamente avvenga il contrasto.
    Tornando al Natale del ‘95, ho deciso di andare da uno psichiatra per sottoporgli il mio caso, dopo un inutile tentativo del mio medico di famiglia di curarmi con una dose minima di Zoloft (50 mg al giorno). Lo psichiatra mi ha indicato un cambio di terapia, prescrivendomi una dose di Efexor da 75 mg, più uno stabilizzatore dell’umore che, in realtà, non ho mai preso, dopo aver letto il foglietto illustrativo. Fatto sta che la cura ha funzionato, solo che all’inizio dormivo pochissime ore a notte, svegliandomi spesso alle 4 o 5 di mattina, con una gran voglia di fare 1000 cose. Nel giro di quattro mesi ho ripreso un sonno più regolare, ma l’effetto antidepressivo si riduceva sempre più, fino a portarmi a decidere autonomamente di raddoppiare la dose: 150 mg di Efexor a rilascio prolungato, in unica dose la sera prima di coricarmi. A questo punto ha fatto effetto, ma dopo soli due mesi il miglioramento è di nuovo svanito. Probabilmente senza Efexor starei molto peggio, ma la depressione, così come descritta nel Vostro sito, è ritornata, insieme alle manie di persecuzione. Ammetto che molte volte riesco a riconoscere che sono io a deformare la realtà, ma ciò non è sufficiente a farmi stare meglio. Ho fatto anche un lungo periodo di meditazione (circa 3 anni) che talvolta era efficace, talvolta no. Poi ho smesso.
    I sintomi sono: scarsa voglia di fare qualsiasi cosa, mancanza di entusiasmo, apatia, sensazione di fare una vita inutile, non riuscire a fare sogni per il futuro, voglia di chiudermi in casa e non vedere nessuno, pensieri negativi riguardo cosa gli altri pensano di me, senso perenne di inadeguatezza, soprattutto sul lavoro, malessere in presenza di molte persone, difficoltà di relazione con gli altri in ogni situazione della mia vita quotidiana, tendenza a chiudermi in me e non raccontare a nessuno cosa mi passa per la testa (ma forse questo è meglio, visto i pensieri negativi che faccio). Francamente penso che sia più un fatto biologico che psicologico vero e proprio: in famiglia ci sono stati parecchi casi di depressione, in particolare una cugina ha tentato di togliersi la vita e mia nonna si è suicidata. Penso sia presente una componente ereditaria. Vedo altre persone depresse in famiglia che però non si curano, perchè non vogliono riconoscere il problema: io, a differenza loro, forse grazie alla terapia, probabilmente l’accetto di più, anche se con grande difficoltà. Avrei bisogno di un supporto per tarare la terapia farmacologica: mi sono stancato di vivere una vita a metà, sempre in lotta con il mio malessere. Di contro non ho intenzione di andare ancora in terapia psicologica: ne ho fatta fin troppa e oltretutto ho speso cifre esorbitanti.
    Una come voi

    Buongiorno a tutti! Sono una ragazza di 21 anni, studentessa universitaria con una umile e bella famiglia alle spalle. Ho subito fin da bambina numerosi interventi, l’ospedale per molto tempo è stata la mia casa e forse questo mi ha segnata.
    Ho letto con molta attenzione le testimonianze presenti nel sito: c’è chi ha paura di vivere, chi non trova stimoli, chi vorrebbe staccare la spina… A me succede l’opposto. Ho il terrore di morire o che muoia un componente della mia famiglia. Terrore che non mi fa dormire, che non mi fa vivere come tutti i ventenni che conosco, che a volte non mi fa uscire, oltre a causarmi una fame compulsiva, attacchi di panico, cambiamenti di umore repentini. Ho vissuto una strana infanzia e per tutti ero una bambina prodigio: affrontavo temi assurdi per la mia età con argomentazioni fuori dal comune. Ero grande a 10 anni, grande veramente… sono regredita poi. Troppe morti pesanti nella mia famiglia e io non voglio crescere più.
    Mi hanno lasciato sola, io che ho sempre creduto fortemente in alcuni principi e valori, che pongo la coerenza prima di tutto e che ho rispetto di tutti! Avevo tanti amici, tanti spasimanti, tante conoscenze… e adesso sono sola… il telefono non squilla più da tempo e questo mi terrorizza più che non uscire di casa. Tutti prendono la vita con leggerezza. Forse hanno trovato la chiave del successo? Vivono meglio così… almeno vivono. Io però non sono programmata in questo modo. Sono destinata a soffrire per le minime sciocchezze, a far credere d’essere una persona fredda a mentire continuamente… ma nemmeno così funziona. Vedo la mia vita tutta da rifare: vorrei essere meno scontrosa, intraprendere studi che mi piacciano, buttarmi nel mondo della musica come desideravo. Mi colpevolizzo continuamente… Non si può vivere così: piangere, piangere, piangere. Non voler conoscere le persone perchè “tanto sono tutti uguali”. Vi rendete conto di quanto è triste tutto ciò? Com’è brutto essere buoni d’animo a questo mondo… siamo forse i martiri spirituali del nuovo millennio!

    Mi sento una nullità

    Sono una ragazza di 24 anni, quasi 25. Mi rendo conto di essere di bell’aspetto, acculturata, laureata in economia, con amici e vita sociale… questo è quello che sembra dal fuori. Non sono una sfigata… così sembra! Peccato che dentro mi senta una nullità. In questo momento mi trovo in Spagna per un semestre di studi. Un modo per “trovare me stessa”, dicevo… ma vedo che le cose non migliorano e io continuo a sentirmi male come quando stavo a Torino, se non peggio, perché qui sono sola e senza i miei adorati genitori. La mia inadeguatezza alla vita mi si presenta ogni giorno da qualche anno a questa parte. Non riesco ad aver relazioni con l’altro sesso, mi sento sempre o troppo superiore o troppo inferiore. E se, nel primo caso, agisco da superba, nel secondo trancio le
    relazioni per paura che la persona in questione capisca che in realtà sono una buona a nulla. Questa sera volevo uscire, ma mi ritrovo sola. Uscirò comunque, penso, ma alla fine so che mi rinchiuderò in me con le cuffie e guarderò il mondo con il sottofondo della mia musica preferita. I miei amici (che non so nemmeno se lo siano… o meglio: esiste l’amicizia???) sono sempre: originali , alternativi, belli, di successo. Loro hanno fidanzate/i a loro volta originali alternativi, belle/i e di successo ed io sono sempre la solita single in cerca del principe azzurro che mai arriverà… la solita scorbutica a tratti dolce… sì insomma dipende dall’umore… dipende. A volte vedo che mi trattano con sufficienza… chissà che pensano di me, ammesso che mi pensino! Il problema è che non so chi sono o meglio quella che sono non mi piace affatto e non so come migliorarmi. Dovrei accettarmi, ma non riesco assolutamente. Non so… ( frase che ripeto troppo spesso). La maggior parte delle volte mi sento un’aliena e il mondo degli uomini mi fa schifo. La crudeltà e la cattiveria del genere umano mi fa ribrezzo e paura… eppure alla fine mi rendo conto che ne faccio parte e questo è il punto peggiore. Amo i miei cani, ma non riesco ad occuparmi di loro pienamente. Vorrei, ma non riesco… mi sento immobile mentre tutto scorre. Ho paura di risvegliarmi a 40 anni sola e senza figli. Penso spesso al suicidio, ma la cosa che mi frena è la sofferenza che provocherei ai miei genitori… solo questo. Ho letto le testimonianze del forum ed ho voluto sfogarmi un po’. Penso di essere una persona depressa che vuole farcela da sola, ma che allo stesso tempo non crede di potercela fare.

    Cinzia

    Salve, mi chiamo Cinzia, ho 22 anni e fino ad oggi non volevo assolutamente credere di soffrire di depressione. Poi il mio ragazzo, stanco dei continui problemi determinati dal mio stato d’animo, si è messo a cercare in internet e mi ha mostrato che i sintomi della depressione sono proprio quelli di cui soffro: calo d’appetito e conseguente calo di peso, stanchezza generale e sensazione d’impotenza nel prendere decisioni o compiere le azioni più banali, pianti continui per cause apparentemente futili e insonnia, alternata a sonnolenza. Credo che tutto sia iniziato quasi un anno fa, quando mi sono resa conto di aver sbagliato nella scelta dell’indirizzo di studi universitari. Di lì in poi un peggioramento continuo, con alcuni sprazzi di allegria e giornate tranquille…
    Io non ho mai pensato si potesse trattare di depressione e, in particolare, ho sempre considerato (scusate il termine) “da sfigati” credersi depressi, non apprezzare più ciò che può dare ogni singola giornata, anche la più negativa. Mi sono sempre ritenuta una ragazza attiva, praticavo molto sport, ottimi risultati scolastici e sportivi, senza parlare dell’amore per i viaggi “on the road” e quella che gli altri chiamavano la mia voglia di “mordere la vita”. Ora mi accorgo che di queste cose in me è rimasto ben poco, ho praticamente abbandonato il mio sport, sono rimasta indietro con gli esami all’università, non esco quasi più di casa e le giornate sembrano scorrere incessanti.
    Innanzitutto mi voglio scusare per questo mio sfogo. Ho visto sul sito il numero di telefono a cui rivolgersi, ma mi risulta davvero troppo imbarazzante, nonché umiliante, parlare con una persona sconosciuta di queste cose, perciò ho optato per una più comoda e-mail. In secondo luogo desidero avere consigli su cosa fare ed eventualmente a chi rivolgermi. Sono oramai mesi che provo ogni giorno a dire a me stessa “da oggi si cambia”, ma poi finisco solamente con il colpevolizzarmi maggiormente se non ci riesco.

    Ho una brutta depressione

    Ho una brutta depressione, ma non so come e quando sia iniziata. Non l’ho riconosciuta, non sapevo cosa mi stesse succedendo. Nessuno si è accorto che stavo male. Ho continuato a fare tutto come prima, almeno in apparenza: il giudice, l’avvocato, la figlia, la sorella, la zia, ma non ero capace di fare più niente. Piangevo quando nessuno mi vedeva, non avevo più pazienza, più capacità di decidere, più interessi, più voglia di lavorare, di andare in vacanza. Alzarsi la mattina era una fatica immane. La cosa peggiore era che non riuscivo a guardare in faccia nessuno e, se davo la mano a qualcuno, mi giravo dall’altra parte. Non uscivo più: finito di lavorare, di pensare alla famiglia, andavo a letto. Volevo morire e stavo meditando il suicidio: guardavo una diga artificiale con un misto di paura e di desiderio: mi attirava più di qualsiasi altra cosa. Un giorno mia nipote mi ha detto: “Mi dicono che sono depressa, ma io non lo sono”. Ho risposto: ” Io sono depressa”. Non me ne ero mai accorta, la consapevolezza è apparsa all’improvviso, le ho dato forma con tre parole. Ho cominciato a informarmi, ho cercato siti sulla depressione, ho fatto test. La risposta di tutti i test era: ” Hai bisogno di uno specialista”, ma ancora non trovavo il coraggio. Alla fine ho chiesto ad un amico il numero del cellulare di suo fratello psichiatra. Ho aspettato ancora qualche giorno. Poi, non so come, forse ero più disperata del solito, ho telefonato. Non so che cosa gli ho detto, ma mi ha dato un appuntamento due giorni dopo. Mi sono così trovata nella sala d’attesa ad aspettare, con una gran voglia di scappare, con l’impressione di non aver niente da dire, con il terrore. Ma non sono fuggita. Quando mi è venuto incontro io gli ho detto: “Non so più che sono venuta a fare, non so cosa devo dirle”, lui mi ha messo un braccio intorno alle spalle e mi ha accompagnato dentro il suo studio. Era aprile del 2005. Dopo un anno e mezzo sono rinata. Mi è costato fatica, ho avuto ricadute, periodi di crisi, giornate in cui ero insopportabile. Ho perso rapporti con persone che non hanno accettato che fossi cambiata, che pensassi a me stessa prima che agli altri. Sono sopravvissuti solo i rapporti più sinceri. Tutto si paga, anche la guarigione.

    Michele: aiuto

    Ho 41 anni, sono sposato e ho un figlio di sette. Sto male! Sono sempre stato una persona ansiosa. Secondo il mio medico somatizzo tutto e quindi ho un colon che dire irritato è poco. Da un po’ di tempo la mia ansia è peggiorata. Non riesco a fare nulla. Ho un continuo senso di nodo alla gola, da quando mi sveglio a quando mi riaddormento. La nausea è terribile. Sono diventato molto sensibile. Mi arrabbio immediatamente per qualsiasi cosa non vada bene, ma mi commuovo per qualsiasi sciocchezza. Mi viene da piangere solo se guardo mio figlio o se mia moglie mi abbraccia. Ho paura che mio figlio possa avere il mio carattere e stare male come sto male io. Non so mai cosa fare, sono eternamente indeciso. Il mio medico mi ha detto che devo avere fiducia in me e in lui. Mi ha dato una cura a base di Xanax per un mese e mezzo, ma la situazione non è cambiata. Non trovo il coraggio di andare a parlare con qualcuno. Aggiungiamo poi la mia ipocondria e il quadro è completo. Alla vita non chiedo di più di quello che ho: vorrei solo potermelo godere. Sono disperato. Ho paura ad uscire, ho l’incubo di stare male. L’ansia mi chiude la bocca dello stomaco e non riesco ad interagire con gli altri. Il lavoro, che è sempre stata la mia grande passione, non mi da più soddisfazione. Starei nel letto a dormire da mattina a sera. Le intenzioni di fare delle cose ci sono, ma poi, quando si tratta di agire, non riesco e c’è sempre qualcosa che me lo impedisce. Aiutatemi, ditemi qualcosa voi che leggete. Datemi un buon motivo di avere fiducia, ne ho bisogno. Ho il terrore di morire, non devo pensare che la vita non dura per sempre perchè altrimenti arriva il panico. Ho il terrore che accada qualcosa a mio figlio o a mia moglie. Loro hanno bisogno di me e non mi deve accadere nulla. Sono terrorizzato. Spero di essere stato chiaro e avere raccontato al meglio quello che mi passa per la testa 24 ore al giorno.

    Dove è finita la mia energia?

    Sono tristissima! Dopo tre anni sono ricaduta nel male oscuro. Ho paura! Ho perso mio marito nove anni fa e non riesco a capire come ho fatto a viverli tra alti e bassi. Ho avuto tre crisi depressive e sono alla ricerca di un po’ della mia energia tanto invidiata dagli amici. Sono in terapia antidepressiva con Elopram e poche gocce di Xanax al bisogno. Non so dove battere la testa. Devo continuamente fingere per evitare che attorno a me il mio stato d’animo sia evidente. Vorrei stare sola, cerco palliativi di tutti i generi per avere una motivazione di risalita. Vorrei ridere, vorrei apprezzare la vita che mi circonda, ma non riesco. L’amavo, sorridevo quando vedevo due uccellini che cinguettavano, i raggi del sole tra le foglie degli alberi. Amavo aiutare le persone con il volontariato, contenta di dare quel pò di amore che riusciva a strappare un sorriso, e ora? Vorrei morire, ma non posso permettermelo. Ho impegni molto importanti nelle mia vita che devo continuare a portare avanti. Impegni con adozioni a distanza, con mia figlia, meravigliosa, con
    l’Associazione di cui sono fondatrice. Come posso tradire le persone che mi amano? Non basta la volontà: io ne avevo molta. Chi può darmi quell’input che farà ripartire la mia energia? Aiutatemi a capire, per favore, aiutatemi ad uscire da questo tunnel. Grazie.