I più recenti studi epidemiologici attestano che sono circa 6 milioni le persone che soffrono, in Italia, di disturbi depressivi e altre 6 milioni di disturbi d’ansia. Considerando che, per ogni paziente, sono almeno due/tre i parenti coinvolti, si può avere un’idea di come questo disturbo abbia la valenza di malattia sociale. Del resto il costo sociale, inteso come ore lavorative annue perse a causa del suddetto disturbo, è in Italia di circa 14 MLD di € l’anno.
Delle persone affette da depressione o da sintomatologia associate ad ansia o attacchi di panico, è solo una minoranza (circa 25%) che consulta lo specialista di competenza, cioè lo psichiatra.
Ciò che s’interpone alla cura è la presenza radicata di pregiudizi.
Uno dei pregiudizi riguarda la figura dello psichiatra e può essere esemplificato con il seguente ragionamento: “Lo psichiatra cura i matti e se mi rivolgo ad uno psichiatra, sono anch’io matto o sono considerato tale”. Tale ostacolo è difficilmente superabile a causa della presenza di un sentimento di vergogna tanto forte da inibire l’acquisizione d’informazioni in tal senso, sia presso amici e conoscenti, sia rivolgendosi al medico di base.
Un altro pregiudizio è che gli psicofarmaci sono dannosi. In realtà la terapia farmacologica può essere dannosa solo se assunta senza l’assistenza dello specialista. Questo preconcetto come quello che gli psicofarmaci danno dipendenza, sono figli del fatto che, a livello d’immaginario collettivo, vi è un’assimilazione tra psicofarmaci e sostanze stupefacenti. In realtà è scientificamente dimostrato che gli antidepressivi non danno dipendenza e che la loro sospensione, graduale e controllata, non determina nessuna sindrome da astinenza.
Altro pregiudizio molto diffuso, come testimonia la pratica giornaliera, è quello della “volontà”, in base al quale si ritiene che sarebbe sufficiente uno sforzo di volontà per superare il disturbo depressivo. Tale pregiudizio prescinde dal livello sociale, dal tipo di cultura e dal livello intellettivo e allo specialista è richiesto uno sforzo supplementare per sottolineare la falsità, oltre ai danni, che tale pregiudizio provoca, in quanto alimenta i già presenti sensi di colpa.
L’infondatezza di tale pregiudizio risulta evidente dalle seguenti considerazioni:
-la volontà è la quantità di energia psichica che una persona ha a disposizione e che quindi può investire nelle proprie attività quotidiane;
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-fa però parte del quadro depressivo, cioè dello stato di malattia, una netta riduzione della
quantità di energia di cui un soggetto può disporre.
Risulta quindi evidente che non si può puntare sulla volontà per il superamento di una crisi depressiva.
Di fatto la depressione è una malattia curabile, specialmente con gli strumenti efficaci di cui disponiamo. E’ necessario uscire dalla dimensione parascientifica in cui questi disturbi vengono collocati e ricondurre il problema in ambito medico. E’ importante sottolineare che il mondo scientifico è oggi in grado di fornire una risposta adeguata ai problemi di cui ci stiamo occupando e che può fornire un valido aiuto alla maggior parte di coloro che si rivolgono allo specialista, che oggi dispone di strumenti che sono molto più validi e raffinati rispetto a quelli anche solo di 10-15 anni addietro.
La fase acuta del disturbo deve essere attaccata con un intervento psicofarmacologico che, se adeguato e conseguente ad una corretta diagnosi, è in grado di risolvere la sintomatologia nell’80- 90% dei casi.
E’ comunque necessario che all’intervento psicofarmacologico, che mira unicamente alla risoluzione dei sintomi, seguano da parte dello specialista indicazioni individualizzate.
La risoluzione della sintomatologia acuta non va intesa come la risoluzione definitiva del problema; è invece importante un’attenta e accurata valutazione della personalità globale, e non solo dei sintomi del paziente, in modo da poter fornire, una volta risolto lo stato di sofferenza acuta e a seconda delle necessità individuali, indicazioni sotto forma di semplici consigli sulla necessità di modificazioni dello stile di vita, oppure indicazioni di tipo psicoterapeutico o di tipo analitico, oppure di terapia sistemica o anche di terapia comportamentista, senza pregiudizio alcuno sui vari tipi d’intervento, che sono tutti validi purché effettuati da persone preparate e competenti.