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  • Sofferenza fisica e modello medico

    Dal punto di vista della medicina la sofferenza fisica viene considerata come

    l’interruzione di uno stato di benessere e il medico interviene su di essa al fine di

    ripristinare il precedente equilibrio turbato. L’intervento medico è quindi finalizzato a

    curare la sofferenza fisica che ha connotazioni negative e deve essere semplicemente

    eliminata.

    Facciamo un esempio per chiarire il concetto: nel caso di una colica renale che, come sappiamo, consiste nella presenza di un dolore acutissimo, l’intervento medico ha l’obiettivo primario di ridurre il dolore e a tale scopo utilizza gli antidolorifici. Il farmaco quindi costituisce lo strumento principale per sconfiggere la sofferenza e compito del medico è di scegliere quello più idoneo.

    Sofferenza e farmaci

    Per quanto riguarda i farmaci è utile sottolineare l’esistenza, nei loro confronti, di atteggiamenti di divinizzazione o, al contrario, di demonizzazione. In base ai primi, quelli cioè di divinizzazione, bisogna affidarsi ciecamente ai farmaci perché, grazie ad essi, è possibile risolvere, sempre e comunque, qualunque tipo di problema.

    In base, invece, agli atteggiamenti di demonizzazione i farmaci sono prodotti chimici, non naturali, per cui è maggiore il danno che essi determinano, in termini di fenomeni collaterali, rispetto ai vantaggi.

    Estremizzando, i due tipi opposti di atteggiamento determinano due tipi di approcci pregiudiziali che possiamo così sintetizzare: l’atteggiamento divinizzante porta al “farmaci sempre”, quello di demonizzazione porta al “farmaci mai”.

    Se tutto ciò è vero per i farmaci in generale, lo è ancora di più nei confronti degli psicofarmaci che per alcuni sono la soluzione definitiva dei problemi della sfera psichica, mentre per altri sono simili alle sostanze stupefacenti, per cui ne temono la dipendenza e l’alterazione del livello di coscienza.

    I due tipi di atteggiamenti interferiscono con una visione realistica, cioè che gli psicofarmaci sono strumenti utili solo quando è presente una fase acuta di un disturbo. Il loro scopo è ridurre i sintomi: sono cioè “sintomatici” e vanno sospesi quando la fase acuta regredisce. Non hanno invece alcuna azione sulle cause del malessere psichico, per la cura delle quali è necessario utilizzare lo strumento psicologico.

    Un’esemplificazione può chiarire quest’ultimo concetto. Prendiamo in considerazione il caso di una persona depressa i cui sintomi sono talmente gravi da paralizzare la sua vita lavorativa, affettiva e sociale: non riesce più a svolgere il proprio lavoro, si chiude in se stessa, interrompe il rapporto con gli altri e anche con i familiari. Quando la crisi raggiunge tale livello di gravità, è necessario utilizzare gli antidepressivi allo scopo di ridurre, nel giro di tre/quattro settimane, la fase acuta del disturbo. Ma bisogna tenere presente che essi agiscono solo sui sintomi della depressione e che, per affrontare le cause che la hanno determinata, è necessario fare ricorso allo strumento psicologico e attivare quindi una psicoterapia. Inoltre, una volta che i sintomi depressivi sono scomparsi, non ha alcun senso continuarne l’assunzione per anni: hanno esaurito il loro compito e vanno sospesi.

    Sofferenza psichica e modello psicologico

    Utilizzando il modello psicologico, la sofferenza psichica è il segnale della presenza di qualcosa di dissonante nella personalità che esprime la sua presenza producendo sintomi. Essi sono quindi segnalatori di uno squilibrio interno e la sofferenza non è solo qualcosa da eliminare, ma esprime la necessità di un lavoro di ricerca per individuare le cause dello squilibrio e mettere in atto i cambiamenti necessari per ripristinare l’equilibrio e il benessere della personalità.

    Facciamo un esempio. Parliamo di Giacomo, un uomo di 35 anni, manager di una multinazionale che presenta una grave crisi depressiva, tale da determinare un ritiro dall’ambito sociale e impedirgli di lavorare.

    Secondo il modello medico di cui abbiamo parlato prima, il problema di Giacomo deve essere affrontato utilizzando gli antidepressivi al fine di ridurre i sintomi e consentirgli la ripresa della vita sociale e lavorativa.

    Secondo il modello psicologico è, però, importante anche interrogarsi sulle cause profonde che hanno determinato la crisi depressiva, senza accontentarsi di spiegazioni generiche quali la stanchezza o lo stress in senso lato. E’ cioè importante che Giacomo risponda alla seguente domanda: perché questa crisi, cosa vuole indicarmi, qual è lo squilibrio che si nasconde dietro questa sofferenza?

    E’ quindi necessario che, oltre ad assumere una terapia farmacologica, svolga un lavoro di ricerca psicologica allo scopo di mettere in atto quei cambiamenti nella sua vita che lo mettano al riparo, in futuro, dal ripetersi di crisi analoghe.

    Così è stato e, dal lavoro psicologico, è emerso che Giacomo ha fatto un investimento eccessivo sulla vita lavorativa e, invece, molto scarso sul versante affettivo-sentimentale: poche storie, di breve durata. Non c’era tempo! Ma i nodi vengono al pettine e, all’età di 35 anni, lo squilibrio della personalità presenta il conto attraverso la crisi depressiva.

    Affrontare il problema unicamente con i farmaci, allo scopo di far scomparire i sintomi, sarebbe stato riduttivo e Giacomo avrebbe perso una buona occasione per riequilibrare il proprio atteggiamento nei confronti degli aspetti della vita, dal momento che finora ne aveva privilegiato solo uno, quello lavorativo.

    I due modelli, quello medico e quello psicologico, non sono comunque tra di loro in contrasto inconciliabile, ma possono essere integrati.

    Questo concetto è stato più volte affrontato nei capitoli precedenti, ma data l’importanza, lo ripetiamo ancora una volta

    Quando i sintomi sono talmente gravi da provocare la paralisi della vita psichica e mentale della persona, è utile l’utilizzo dei farmaci allo scopo di sbloccare la situazione.

    Non bisogna però trascurare l’aspetto psicologico, mettendo in atto una ricerca finalizzata ad individuare le origini del disturbo.

    Senso e potenziale trasformativo della sofferenza

    E’, quindi, importante il modo di porsi nei confronti della sofferenza. Innanzitutto ciò dipende dall’entità della sofferenza: quando è troppo grande, tale da paralizzare, i farmaci hanno un’importante funzione di sblocco. Agire però sul malessere psichico unicamente con l’intervento farmacologico è sbagliato perché questo vuol dire perdere la possibilità di cogliere il significato della sofferenza.

    Quest’ultima affermazione vuol dire che essa ha un senso: indica che il nostro equilibrio psichico è alterato e manda dei segnali mediante i sintomi. Occuparsi di essi utilizzando solo i farmaci vuol dire non tentare di comprenderne il senso e, in definitiva, perdere un’occasione di cambiamento.

    Se, invece, la sofferenza diventa uno stimolo per attivare la ricerca, diventa l’elemento propulsore per porre le basi, attraverso il lavoro psicologico, per modificare il rapporto con se stessi e con gli altri.